Ballarò, don Enzo: "Vedo i giovani morire di crack"

Ballarò, don Enzo: “Vedo i giovani morire di crack”

La denuncia di un sacerdote, impegnato nella trincea dello spaccio.

(Roberto Puglisi, Palermo) “La ferita del crack è gravissima, riguarda tante persone e tantissimi giovani. Si deve intervenire subito. L’idea di una casa a bassa soglia a Ballarò, dove accogliere, ascoltare e aiutare chi ha problemi di tossicodipendenza, è importantissima e va realizzata”.

Don Enzo Volpe (in primo piano nella foto), sacerdote, figura storica dell’impegno, ha fondato, proprio a piazza Ponticello, con suor Maria Teresa, ‘Casa Àncora’. La struttura si occupa di tutte le marginalità. La droga è una ferita sanguinante. Appena domenica scorsa, Palermo si è radunata al Teatro Massimo, per ricordare Giulio, vittima di crack a diciannove anni e altri che, come lui, sono precipitati nell’abisso. L’iniziativa è stata fortemente voluta da Francesco Zavatteri, papà di Giulio. La sua toccante testimonianza è il preludio per il progetto di quel ricovero pensato a Ballarò, luogo conclamato di spaccio e consumo. Servono fondi, tenacia e volontà politica.

Don Enzo, a che serve una ‘casa a bassa soglia’?
“E’ utile per offrire riparo, sostegno, informazioni, cose importantissime fornite da personale qualificato. La vicinanza relazionale è centrale, affinché nessuno si senta solo e abbandonato”.

Lei è vicino alla famiglia di Giulio?
“Sì, li conosco benissimo. Conosco Francesco. Conosco soprattutto Vincenzo, mio ex-allievo e Francesca, ragazzi impegnati. Una famiglia coraggiosa che ha saputo spezzare le catene del silenzio”.

E’ stato cioè giusto parlarne.
“Assolutamente sì. Francesco, come padre, con i suoi figli, ha avuto la forza di compiere un gesto grande, raccontando il dolore e lo smarrimento che si provano in casi del genere. E’ una svolta. Tanti genitori, nella stessa situazione, non ci riescono. Perché la cappa della sofferenza è immensa”.

Chi spaccia, nel quartiere, è coinvolto in un mercato di morte. Come si regge un simile carico nella coscienza?
“Il fenomeno è trasversale. Io, comunque, mi metto nell’ottica di un discorso globale. Tante volte si incappa nel destino di essere spacciatori, per mancanza di prospettive, non soltanto economiche. Non si giustifica lo spaccio, ma è utile, per tentare una soluzione, andare a vedere l’origine del problema”.

Chi tira le fila?
“Ovviamente la mafia. Che utilizza manodopera locale e consumatori pagati con le dosi. Dietro ogni singola vittima di crack e di droga ci sono gli interessi economici della criminalità organizzata”.

Siamo in emergenza?
“Certamente, soprattutto per il vasto consumo di crack e di altre droghe che diventano sempre più presenti anche tra i giovanissimi. Ma qualcosa è cambiato nel corso di una pandemia che ha reso complicati i rapporti sociali, causando depressione e difficoltà. Il crack, in particolare, offre una possibilità di estraniamento e di alienazione che viene pagata a carissimo prezzo”.

Lei ha visto giovani morire, don Enzo?
“Si può morire in tanti modi e tanti di questi giovani hanno gli occhi spenti, come dei morti che camminano. Persone ridotte ad automi, senza più volontà, né consapevolezza di quello che succede. Questi stessi giovani sono sensibili, con una grande ricchezza interiore, artisti. Abbiamo il dovere morale e civile di fermare questa sofferenza, arginare questa morte che sembra avanzare”


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