24 Gennaio 2013, 19:45
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L’opera scelta per l’inaugurazione della stagione 2013 ha una storia travagliata per via della implacabile censura borbonica: la prima assoluta era programmata al San Carlo di Napoli nel 1858, con il titolo Una vendetta di dominio, la quale riprendeva il libretto intensamente romantico Gustave III, ou Le bal masqué composto nel 1833 da Eugène Scribe per le musiche di Daniel Auber.
Le richieste della censura, alcune delle quali inaccettabili come la eliminazione del ballo, l’eliminazione dei nomi estratti a sorte, la modifica della scena della strega <trasportandola in epoca in cui non vi si credeva … e poi, e poi, e poi!!> come scrive Verdi il 7 febbraio 1858 al librettista Somma, fecero desistere il compositore dal mettere in scena l’opera nel Regno di Napoli, scegliendo la meno rigida Roma e, più precisamente, il blasonato Teatro Apollo, costruito sulle rive del fiume Tevere (demolito nel 1888 per permettere la messa in sicurezza degli argini, ricostruito negli anni’30 in zona sicura dalle acque, ma non dalla “voracità” dell’uomo, ma questa è un’altra storia…).
Nonostante il cambio di scena, vennero comunque apportate alcune novità nel copione, come l’ambientazione a Boston, in terre lontane e libere da qualsiasi condizionamento e inopportuno riferimento.
La storia è tanto semplice, quanto efficace: il conte Riccardo di Warwich, governatore di Boston (Marcello Giordani), è platonicamente innamorato, e segretamente ricambiato, di Amelia (Dimitra Teodossiou), moglie del suo più caro amico, oltre che fidato segretario, Renato (Piero Terranova). Il probo governatore, allorché gli viene richiesto di esiliare la fattucchiera Ulrica (Nicole Piccolomini), decide di recarsi sotto mentite spoglie dalla stessa per burlarla, facendosi prevedere il futuro. Questa gli prevede che verrà ucciso da un amico, il primo che gli stringerà la mano. Ovviamente a stringerla arriva casualmente il fidato Renato. Tutto si chiude e finisce lì: difatti, stante il fraterno rapporto fra i due, nessuno crede alla predizione della megera.
Il breve secondo atto, si apre nel campo fuori città, ove Amelia cerca la pianta consigliatale dalla maga che dà la pace alle pene d’amore.
Ivi sopraggiunge Riccardo, il quale sotto una sempre più lucente luna dichiara il proprio amore ricambiato verso la bella sposa dell’amico (“M’ami, m’ami!… oh sia distrutto il rimorso, l’amicizia nel mio seno: estinto tutto, tutto sia fuorché l’amor” –canta Riccardo –, “Torna gigante in petto l’amor che mi ferì!” – replica Amelia. E, proprio quando la passione sta per sopraffarli (“Ma tu, nobile, me difendi dal mio cor!”), da lontano scorgono sopraggiungere Renato (“Chi giunge in questo albergo della morte?… Ah, non m’inganno! Renato!”) in armi alla ricerca dei congiurati che intendono assassinare il governatore. Riccardo, esortato alla fuga per sfuggire agli attentatori, fa coprire il volto ad Amelia che consegna nelle mani di Renato (inconsapevole marito!) con la promessa che non avrebbe cercato di capire chi ella fosse e che non le avrebbe rivolto parola (“Promettimi, giura che tu l’addurrai, velata, in città, né un detto né un guardo su essa terrai”).
Nella strada di ritorno verso le porte della città vengono incrociati dai congiurati i quali intimano alla donna di scoprirsi. Amelia per evitare un duello, si scopre il velo, cosa che lascia sbigottito Renato, preso in giro da tutti (“Ve’ la tragedia mutò in commedia piacevolissima – ah! ah! ah! ah!”).
Denso e ricco il terzo atto, in cui il fido segretario, convinto di essere stato tradito dalla moglie e da Riccardo (“Sangue vuolsi e tu morrai”), si unisce ai congiurati, i quali convengono di assassinare il governatore durante il ballo in maschera indetto nel suo sontuoso palazzo. A compiere il tragico gesto viene sorteggiato proprio Renato (“Nell’urto delle maschere non fallirà lo scopo: e sarà un ballo funebre fra pallide beltà).
Nella sontuosa sala da ballo del governatore, Renato carpisce dal paggio Oscar (Manuela Cucuccio) il vestito di Riccardo (“Veste una cappa nera, con roseo nastro al petto”) e, mentre Amelia lo implora di lasciare immediatamente la sala perché a rischio di vita (“La morte qui v’accerchia…”), viene compito a morte dal fido amico.
Con un ultimo atto di grazia, Riccardo perdona l’amico uccisore e libera da qualsiasi colpa Amelia dichiarandone l’innocenza (“Ella è pura, in braccio a morte, te lo giuro, Iddio m’ascolta: io che amai la tua consorte rispettato ho il suo candor”), spegnendosi nel comune dolore e sgomento (“Addio per sempre, o figli miei… per sempre addio… diletta America…”, “Notte d’orrore”).
L’allestimento, realizzato dalla Fondazione Arena di Verona, ha visto nel difficile ruolo della direzione il tenore argentino José Cura. Oculata e quanto mai azzeccata la scelta del cast: un bravissimo Marcello Giordani, nel ruolo tenorile di Riccardo (già ricoperto nello stesso teatro in occasione della rappresentazione nella stagione 2005), e un’eccezionale Dimitra Teodossiou, che da soli hanno totalizzato il replete nell’applausometro, molto bravo anche il baritono Piero Terranova nel ruolo di Renato, e Nicole Piccolomini nel ruolo della maga Ulrica. Molto applaudita anche la performance di Manuela Cucuccio, nel ruolo del paggio Oscar (soprano en travesti).
Senza pecche la regia di Luca Verdone, belle le scenografie di Raffaele Del Savio, soprattutto le scene del campo della maga, col carro dismesso e i canneti magici tutt’attorno; bellissima e toccante scena della dichiarazione d’amore fra i due protagonisti, con tanto di soffice neve bianca e rappresentazioni decadenti romantiche. Non eccezionalmente vistose le scenografie della sala da ballo e dei relativi costumi, poco azzeccati quelli a “scheletro” dei ballerini, e i danzatori che in alcune coreografie sono stati perfino scoordinati.
Di sicuro una grande rappresentazione, azzeccata nell’anno del bicentenario dalla nascita del grande musicista di Busseto, avvenuta il 10 ottobre 2013, con forte spirito commemorativo di quello che pacificamente è considerato il più fecondo compositore del risorgimento italiano.
In tanto dolce e piacere, va evidenziata la piccola nota salata per la scelta di non includere nel pur ricco e composito cartellone 2013 alcuna opera di Richard Wagner, dato che il 2013 è anche il duecentesimo genetliaco del grande compositore di Lipsia (22 maggio 1813). Certo, non può tacersi che dal 2000 e nei quattro anni successivi il Teatro Massimo ha messo in scena in tre stagioni tutta la tetralogia wagneriana, ma sono pur sempre trascorsi nove anni dall’ultima rappresentazione di una sua opera. Vale, per certo, ad alleviare l’assenza il recital in programma il 3 febbraio 2013, che prevede fra gli altri la rappresentazione dell’Idillio di Sigfrido, diretto da Antonio Pappano.
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24 Gennaio 2013, 19:45