Cronaca

Quel tragico legame tra Alfredino e Giuseppe Di Matteo

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13 Giugno 2021, 18:34

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Due foto restano. Due immagini dei bambini che furono e che non sono più. Dei bambini che, nella consunzione del tempo e delle dita che quelle foto non smetteranno di accarezzare, resteranno per sempre bambini. In una foto c’è Alfredino Rampi, ucciso dalla sorte e da un pozzo artesiano. Nell’altra c’è Giuseppe Di Matteo, inghiottito dall’acido e dall’abominio degli uomini.

La notte di Alfredino

Della notte di Alfredino, come tutti quelli che erano piccoli all’epoca dei fatti, ricordo lo stupore per avere avuto il tacito permesso di rimanere alzato, nonostante l’ora tardissima. I genitori di tutta Italia erano aggrappati a un televisore per seguire la storia del figlio di tutti. Anche i miei scrutavano con apprensione il nostro Telefunken in bianco e nero, un modesto apparecchio nella camera da pranzo di due professori di Lettere con due figli. Sulla scena si alternavano personaggi quasi fantastici ‘L’Uomo Ragno, Isidoro, il manovale siciliano che tentò senza successo il recupero di Alfredino caduto nel pozzo, il signore minuscolo, i pompieri. E Sandro Pertini, il presidente che avremmo visto nel trionfo del Benabeu, che accorse con un’aria di pianto, nonostante avesse un carattere indomito. Alfredino, bimbo di sei anni, era precipitato nell’abisso, mentre tornava a casa attraverso un prato, di quelli che la fantasia dell’infanzia vedrebbe bene, circondato da un bosco, nella favola di Cappuccetto Rosso. Era, del resto, ancora il tempo delle favole, il mese di giugno del 1981.

La luna dal pozzo

Alfredino rimase lì, a circa quaranta metri dalla salvezza e dalla luna splendente della campagna romana. Fu calato una specie di microfono. I vigili del fuoco cominciarono a pompare ossigeno nel budello che serrava il corpicino. Alfredino aveva sete. Alfredino si lamentava e aveva paura per i colpi dei soccorritori. Gli dissero, pietosamente, che era il rumore di uno dei suoi Ufo Robot, amati dai fanciulli degli anni Ottanta. E che sarebbero stati loro a salvarlo. Ma fu tutto inutile. Dalla bocca della voragine non arrivò più un suono. L’Italia andò a letto piangendo. I Baustelle hanno scritto una canzone che non si può ascoltare senza sentirsi tremare il cuore: “Scivolo nel fango gelido. Il cielo è un punto, non lo vedo più. L’Uomo Ragno m’ha tirato un polso. Si è spezzato l’osso, ora. Dormo oppure sto sognando. Perché parlo, ma la voce non è mia. Dico “Ave Maria”, che bimbo stupido, Piena di grazia, mamma. Padre Nostro, con la terra in bocca non respiro. La tua volontà sia fatta. Non ricordo bene, ho paura. Sei nei cieli…”.

10 maggio 1981 – la tragedia del piccolo Alfredino Rampi a Vermicino

La prigione di Giuseppe

Molti anni dopo sono stato nella prigione del piccolo Giuseppe Di Matteo a San Giuseppe Jato, su cui è sorto il ‘Giardino della memoria’. Chiamarla ‘prigione’ è già un’indulgenza. Si tratta, propriamente, di un buco fetido e oscuro. Un orrore inesorabile. Una pena, centimetro dopo centimetro. Giovanni Brusca, il carnefice di quel ragazzino, tenuto in cattività per 779 giorni – la sua ‘colpa’? Essere figlio di un collaboratore di giustizia – è tornato in libertà dopo venticinque anni di carcere. Giuseppe fu strangolato che era ridotto a una larva umana e si reggeva a malapena in piedi. Gli uomini del disonore ebbero vita facile, nel compiersi della loro infame vigliaccheria. Brusca sentenziò: “Allibertativi du cagnuleddu” e quel comandamento di morte fu eseguito senza battere ciglio.

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Il verbale dell’orrore

In uno dei verbali dell’orrore c’è scritto: “Io mi ricordo il bambino, cioè me lo ricordo quasi giornalmente la faccia, diciamo, mi ricordo sempre, ce l’ho sempre davanti agli occhi. …Il bambino non ha capito niente, perché non se l’aspettava, non si aspettava niente e poi il bambino ormai non era.. come voglio dire, non aveva la reazione più di un bambino, sembrava molle… anche se non ci mancava mangiare, non ci mancava niente, ma sicuramente.. non lo so, mancanza di libertà. Il bambino penso che non ha capito niente, neanche lui ha capito, dice: sto morendo, penso non l’abbia neanche capito…”. Era l’undici gennaio del 1996. Poi gli assassini si prepararono per sciogliere il corpo in un fusto d’acido. Giuseppe era nato il 19 gennaio del 1981. Pochi mesi prima della tragedia di Vermicino.

Il piccolo Giuseppe Di Matteo

Due foto, due bambini

Due foto restano. Alfredino con il sorriso e una canottiera estiva, a righe. Giuseppe mentre va a cavallo, felice, lui che sognava di fare il veterinario. Il martirio del primo ci ha tolto l’innocenza dei bambini che pensavano che ci fosse sempre un angelo custode pronto a salvare i bambini. Il massacro del secondo ha ucciso la speranza di chi credeva che nel cuore di ogni uomo esistesse un barlume di pietà. Dopo Alfredino Rampi e Giuseppe Di Matteo nessuno di coloro che c’erano è stato più uguale a se stesso. Questo è il tragico legame che, loro malgrado, li unisce.

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13 Giugno 2021, 18:34

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