13 Maggio 2015, 06:15
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PALERMO – La mafia fa affari dentro il porto di Palermo: parola del neo pentito Danilo Gravagna. Uno che il porto lo conosce bene. Faceva parte di una banda che attendeva lo sbarco dei Tir per scortarli, sotto minaccia, in un posto sicuro e ripulirli. C’è molto di più, però, nei verbali del picciotto cresciuto rapinatore e divenuto estorsore.
“Noi ci siamo visti con Nicola Milano e con Tommaso Di Giovanni – racconta Gravagna – nell’agenzia del cugino, ci siamo seduti e abbiamo parlato della gestione del porto, che ci saremmo occupati delle estorsioni, dei furti avvenuti dentro il porto, di tutte le problematiche”. Milano e Di Giovanni sono in carcere da tempo con l’accusa di avere retto le sorti del mandamento di Porta Nuova, sotto la cui giurisdizione ricade il porto palermitano.
Gravagna conosce gli affari e anche i flussi di denaro perché alcune attività di trasporto all’interno del porto sarebbero sotto il controllo di boss che contano. Sono finiti in cella, ma i guadagni verrebbero consegnati ai familiari. Così viene ricostruito dal neo collaboratore: “Ci sono tre macchine che lavorano al porto di Palermo, che sono di Tommaso Lo Presti, di Salvatore Pispicia (entrambi sono considerati nomi di peso nello scacchiere del clan di Porta Nuova ndr), di Lo Piccolo Salvatore, detto il presidente, e di Bastiano Vinciguerra… quando poi erano tutti in galera queste macchine venivano gestite da un cugino di Bastiano Vinciguerra… della macchina di Lo Presti il compenso, cioè quello che rimaneva del lavoro doveva… Giuseppe lo dava a me per poi io farlo avere alla moglie di Salvo Pispicia che era Anna Lo Presti e alla mamma, alla Zisa loro abitano, ogni mese andavo lì a portare i soldi che erano circa sette-otto-nove mille euro dipende dal lavoro che facevano”. Il Giuseppe citato sarebbe Giuseppe La Torre, arrestato nel febbraio scorso per estorsione aggravata assieme a Gravagna.
Non è tutto, perché dietro i tanti assalti ai danni degli autotrasportatori ci sarebbe la regia di Cosa nostra. I boss di città e provincia avrebbero fatto soldi a palate. Come nel caso di Tonino Messicati Vitale, boss di Villabate ma molto vicino al clan di Porta Nuova. Il meccanismo lo spiega sempre Gravagna: “… come Villabate conosco a Messicati Vitale.. noi abbiamo simulato una rapina di un container di pesce, per una ditta Marsala, abbiamo fatto questa falsa rapina e questo container è stato scaricato presso una ditta che vende pesce congelato a Villabate, i proprietari sono due fratelli… nell’occasione che abbiamo venduto questa merce ad ora del pagamento c’era… i soldi ce li ha dati Tonino Messicati Vitale.. il pesce andava alla ditta che era finanziata dal Messicati Vitale che dava i soldi per l’acquisto, poi la ditta rivendeva, ovviamente i soldi erano di Messicati Vitale”. L’intera operazione avrebbe fruttò oltre centomila euro.
“Furti e rapine erano sempre autorizzati da voi?”, gli chiede il pubblico ministero Francesca Mazzocco e Gravagna taglia corto: “Certo, poteva succedere (che qualcosa sfuggisse al controllo ndr)… ma noi intervenivamo subito”. E poi fa un esempio concreto, raccontando lo strano furto subito da un’impresa che trasportava casse da morto: “… nell’occasione è successo che hanno rubato un container di bare queste per le sepolture delle persone, in via Francesco Crispi, siccome era un container e ovviamente era un mezzo che è stato fatto nel nostro territorio, noi abbiamo subito trovato i responsabili e abbiamo preteso la restituzione del mezzo”.
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13 Maggio 2015, 06:15