Pizzo, affari e campagne elettorali| Mafia di Bagheria, 5 condanne

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24 Ottobre 2018, 15:23

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PALERMO – Cinque condanne e una sentenza di non luogo a procedere. Sono i numeri di uno stralcio del processo nato dal blitz Argo che azzerò i clan mafiosi di Bagheria e dintorni.

La Corte d’appello presieduta da Antonio Napoli condanna gli imputati Carmelo Bartolone (13 anni), Pietro Granà (10 anni), Michelangelo Lesto (7 anni), Settimo Montesanto (tre anni e quattro mesi contro i 4 anni del primo grado perché è caduta l’aggravante mafiosa), Giacinto Tutino (5 anni). Non doversi procedere nei confronti di Piero Centineo, difeso dall’avvocato Salvatore Sieli. Già in primo grado era caduta l’ipotesi di estorsione e aveva retto solo quella di lesioni, ma senza l’aggravante di mafia. La condanna a un anno è stata però annullata per difetto di querela. Secondo l’accusa Centineo aveva picchiato un ragioniere per farsi consegnare il pizzo, ma il suo legale ha dimostrato che le botte erano legate al mancato pagamento di alcune multe.

Pizzo, investimenti nei locali notturni, traffici di droga e campagne elettorali. C’era tutto questo nell’inchiesta. Tra gli indagati figurava l’ex sindaco di Alimena, Giuseppe Scrivano, accusato di avere pagato il sostegno elettorale della mafia. La sua posizione è stata stralciata e viene giudicato a parte. Il reato di voto di scambio politico mafioso gli veniva contestato in concorso con Michelangelo Lesto.

Dall’operazione del Comando provinciale dei carabinieri di Palermo e del Ros venne fuori lo spaccato di una mafia arroccata nelle tradizioni (dalla punciuta durante il rito di affiliazione alla presentazione dei nuovi picciotti agli anziani), ma che guardava al futuro investendo fiumi di denaro – la gran parte arrivata dal traffico di stupefacenti – nell’apertura di imprese edili, supermercati, agenzie di scommesse e locali notturni.

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La Corte ha confermato il risarcimento danni alle parti civili: Comuni di Alimena, Bagheria, Villabate, Altavilla Milicia, Casteldaccia e Ficarazzi. Ed ancora per il Centro Pio La Torre, Confindustria Palermo, Addiopizzo, Fai, tutti assistiti dagli avvocati Ettore Barcellona, Francesco Cutraro, Salvatore Caradonna.

Bartolone era un morto che camminava. Lo sapevano tutti a Bagheria. E così si presentò al pronto soccorso, dicendo di sentirsi male. L’arresto gli ha salvato la vita. Bartolone, che del mandamento di Bagheria sarebbe stato un pezzo grosso, è stato condannato a 14 anni di carcere per estorsione. Lo stesso reato veniva contestato a Luigi Di Salvo (8 anni) e Alessandro Vega (3 anni e sei mesi). La pena più alta, 18 anni, è stata inflitta a Pietro Flamia, l’unico in questo troncone del processo a cui veniva contestata l’associazione mafiosa. Assolti Gioacchino Di Bella, Rosario La Mantia e Antonino Lepre.

La sera del 10 settembre del 2015 Bartolone arrivò all’ospedale Civico di Palermo. La lombosciatalgia di cui disse di soffrire era un pretesto per chiudere la sua breve latitanza, iniziata pochi mesi prima quando i carabinieri scoprirono che si era allontanato da casa. Bartolone era sottoposto alla sorveglianza speciale dopo avere finito di scontare sette anni e mezzo di carcere per mafia. Era uno dei fiancheggiatori di Bernardo Provenzano, condannato al processo “Grande mandamento”. Bartolone si era dato alla macchia per evitare i proiettili. Gli contestavano la gestione sbagliata dei soldi della mafia.

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24 Ottobre 2018, 15:23

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