07 Giugno 2019, 12:51
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Una traccia indelebile della recente storia criminale italiana. Il “boss dei due mondi”, all’anagrafe, Tommaso Buscetta, in un’interpretazione intimista, espressione del mondo interiore, filtrata dai ricordi, dalle emozioni e dagli stati d’animo nel nuovo film del regista Marco Bellocchio. “Il Traditore”, unica pellicola italiana al settantaduesimo Festival internazionale del cinema di Cannes 2019, con un’ovazione lunga dodici minuti, ripercorre i vent’anni del primo pentito di Cosa Nostra, che ha segnato gli ultimi decenni del secolo scorso con le sue rivelazioni in ambito mafioso, saldamente legate agli sviluppi del rapporto Stato/Mafia del nostro Paese.
Interpretato magistralmente da Pierfrancesco Favino, che ben si destreggia fra italiano, siciliano e portoghese, il traditore vive del mito di Buscetta, ma anche del confronto col giudice Falcone, interpretato da Fausto Russo Alesi, personaggio che è stato “emblematico nel creare un confronto tra due persone, soprattutto ingombrante, un contenitore delle azioni del boss e della sua sofferta scelta”. Ancora, nel film troviamo anche Luigi Lo Cascio nel ruolo del mafioso, Totuccio Contorno, che, seguendo l’esempio di Buscetta, decide di diventare collaboratore di giustizia, e Fabrizio Ferracane, nei panni di Pippo Caló, passato al nemico.
Un viaggio a ritroso nella storia italiana, in uno dei momenti più cruenti della presenza mafiosa in Italia e in America, con un ritratto non celebrativo ma neanche denigratorio del grande pentito di mafia. In più di 350 sale cinematografiche nel mondo, il lungometraggio che ha superato i due milioni di euro di incasso, sceglie di tratteggiare la figura del “Boss dei due mondi”, in un intervallo di tempo molto lungo. Due decenni di storia italiana, dagli anni ’80 e dall’arresto di Buscetta in Brasile per l’estradizione in Italia, passando al complesso ed empatico rapporto col il giudice Giovanni Falcone. E ancora la strage di Capaci e gli sviluppi successivi che hanno portato alla fuga definitiva dal nostro Paese. Bellocchio, presentando il film a Palermo alla Marina di Libri ha risposto in esclusiva a una serie di domande.
Lei ha scavato nella anima di un tenace mafioso che poi ha cambiato vita. Cosa l’ha colpita di più?
La sua è stata una scelta dolorosa e dolente, ma è anche il rifiuto di una tipologia di mafia in cui lui è nato e che non condivide più. Masino era un uomo che non aveva paura di morire ma in qualche modo non voleva essere ucciso e soprattutto voleva salvaguardare la sua famiglia. Per lui contava molto la dignità. Colpevole di enormi peccati, oscillava tra i sensi di colpa e la convinzione di restare un uomo d’onore, fedele a valori che riteneva invece traditi da Riina e Calò.
C’è stato il rischio di “consacrare” Buscetta? E se sì, come l’ha evitato?
C’è stato questo rischio, io non l’ho sentito come tale. Buscetta è un personaggio coraggioso, non è eroe, che non ha paura di morire ma è anche un grande calcolatore. Lui parla e “tradisce” perché capisce che non c’è altra possibilità per sopravvivere per se stesso e la sua famiglia, che la collaborazione con il giudice Giovanni Falcone. Un eroe è colui che sacrifica la propria vita per un grande ideale ma lui non è questo. E’ solo un conservatore che ha nostalgia di una mafia che non esiste più.
In questo film si parla molto di famiglia, di legami affettivi, oltre quelli mafiosi come appare nelle storie di Buscetta, di Riina, di altri mafiosi: le mogli, i figli, i fratelli. Quale differente ruolo assumono i personaggi su questo tema, tanto delicato?
Ogni personaggio svolge un ruolo diverso nell’affrontare il tema familiare. Le storie e i protagonisti ruotano tutti intorno a Buscetta e alle sue famiglie, quella siciliana, quella brasiliana e quella mafiosa. Buscetta però pone dei limiti alla criminalità mafiosa nei confronti della famiglia, di non uccidere i bambini, le mogli, al contrario di Riina che è disposto a tutto, anche a uccidere i più piccoli, tutti i familiari fino alla ventesima generazione.
Lei rappresenta il Maxiprocesso di Palermo come un grande spettacolo, un’opera teatrale…
Sì, una rappresentazione plateale, grazie anche alla conoscenza di Pirandello. Una sequenza di grande impatto visivo e al contempo emotivo. Un apporto di creatività, anche grazie al dialetto siciliano, che in questa fase non è caricatura ma costituisce un elemento di arricchimento per cogliere i toni personali e calarli nei personaggi reali. Si rivive così, un momento di grande tensione, in cui Buscetta e Calò si attaccano, in una parte processuale-teatrale del Maxiprocesso, riflettendo sul personaggio e ciò che rappresenta nella storia del nostro Paese.
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07 Giugno 2019, 12:51