“Belotti, ciuffo ribelle e gol| Grande intuizione di Perinetti”

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30 Marzo 2014, 12:58

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PALERMO – E ad un tratto entra in campo lui, Belotti, col suo ciuffo ribelle e lo sguardo dritto che non si abbassa mai. La partita era sull’1-1 e il Varese sembrava avere le ali ai piedi, a loro volta borchiati di ferro, tanto correva e picchiava senza pietà. E senza che l’arbitro mettesse mano ai cartellini. I più bersagliati erano i due argentini, Vazquez e Dybala, cioè quelli che la palla , se vogliono, la nascondono; quelli che, proprio per questo, fanno uscir di senno i loro marcatori, perché tutti gli puoi fare, esser più veloce, avere più potenza, più scatto e più agilità, ma se gli nascondi la palla, s’incavolano di brutto, perché, senza, si sentono persi, non sanno dove andare, cosa fare: l’avversario c’è, loro devono marcarlo, come gli ha ordinato l’allenatore, non devono concedergli un metro di spazio, non devono neanche permettergli di respirare, ma se non c’è la palla, diventa tutto inutile. Surreale.

E così, per rabbia, picchiano, scalciano, strattonano, alla cieca, come gli viene, tanto l’arbitro tutt’al più fischia la punizione. E’ andata così per un tempo intero, con il povero Dybala, che credeva si dovesse giocare a calcio, faceva le cose che sa fare lui, dribbling, scatti, passaggi di prima, assist e tiri, ed invece, alla prima mossa, eccolo già per terra, un calcione e via. E poi un altro calcione e poi uno spintone e poi una testata e lui, che è mingherlino, poveretto, guardava l’arbitro, sembrava supplicarlo: “Cos’aspetti a tirar fuori il cartellino?”. Ma quello niente, solo una punizione ogni tre falli, come al mercatino, prendi tre e paghi due. Anzi, uno.

Così, ad inizio ripresa, anche per le botte prese e i lividi, tutti concentrati nelle due caviglie, Iachini lo sostituisce con Belotti, il ragazzino preso questa estate all’ultimo giorno di mercato, dopo la brutta sconfitta interna subita dall’Empoli del sapientone Sarri. Quando – ammettiamolo – un po’ tutti si disse in giro: “E vogliamo aggiustare una squadra sbagliata con Belotti, un ragazzino?” . Ebbene, sì, la squadra l’abbiamo aggiustata con lui e rifinita, fino a diventare la dominatrice del torneo, con mister Beppe Iachini, uno che non guarda in faccia nessuno, giudica solo con la sua testa e agisce sempre di conseguenza. Uno che non ha preclusioni, non soffre di simpatie ed antipatie, non ha debolezze di sorta e quando decide non torna (quasi) mai indietro. Uno che se sbaglia lo ammette e se l’azzecca lascia che siano gli altri a riconoscergli i giusti meriti. Insomma, in una parola sola (anzi in due): una persona seria.

Dicevamo: ad inizio ripresa eccolo, Belotti, entrare in campo col suo piglio spavaldo e la sua corsa un po’ così, che sembra dover cadere per terra ad ogni passo, al minimo spintone ed invece è una roccia che non la sposti neanche con un carrarmato. E meno di un quarto d’ora dopo, sull’ennesimo dribbling di Vazquez, c’è un corner per il Palermo ed io e i miei amici che, nella partite esterne, non mi lasciano mai solo davanti alla tv, esclamiamo in coro: “Dai, Andrea, salta su e mettila dentro di testa!”.

E così è: Franco dipinge una parabola che sembra un arco che sale su alto per scendere all’improvviso all’altezza del secondo palo e chi c’è lì, in agguato? C’è lui, Belotti, che li prende tutti d’infilata, almeno una mezza dozzina di difensori che sbavano rabbia e tracotanza, li anticipa con il suo mortifero senso del tempo e mette dentro di testa nell’ultimo angolino di porta che gli è rimasto libero davanti. E poi, la mano destra aperta della testa, a correre impazzito di gioia verso la panchina: il gallo che canta, il gallo che corre, il gallo che segna il gol della vittoria.

Lo aveva già fatto a Pescara, anche lì subentrando ad un compagno, anche lì saltando su come un’aquila al cospetto di uccellacci e uccellini, anche lì beffandoli tutti per segnare il gol decisivo. Altro che ragazzino, come pensavamo tutti questa estate: questo qui è una vera manna piovuta dal cielo. Anzi, diciamolo francamente e con la dovuta umiltà, per merito dell’occhio lungo, che difficilmente si sbaglia, di quel galantuomo che presiede alle vicende, a tutte le vicende tecniche del Palermo. Allenatore compreso, da lui fortemente raccomandato, subito dopo il flop Gattuso, al patron Zamparini.

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Sto parlando, è ovvio, di Giorgio Perinetti, che dove lo metti sta: va a Bari e gli fa vincere il campionato, va a Siena, idem, torna a Palermo e sulle prime si imbatte in una realtà drammatica, nella quale c’è un fuggi fuggi generale, Migliaccio che vuole andar via, Balzaretti idem, campagna acquisti compromessa ancor prima di cominciare e poi l’arrivo improvviso e letale di Lo Monaco, e allora lui, innamorato perso di Palermo e del Palermo dai tempi dei tempi, fa un passo indietro e dice: “Basta, me ne vado!”.

E il Palermo fa la fine che sappiamo tutti e deve ricominciare da zero, deve rifare tutto e chi ci pensa? Ci pensa lui, col suo lavoro ostinato e silenzioso, ossequioso, com’è suo dovere, al patron ma non supino, semmai osservando, suggerendo, illustrando. E il presidente torna sui suoi passi, c’è abituato a licenziare gli allenatori, via uno, arriva un altro, ma stavolta è come una “mea culpa”, perché chiama, quasi invoca, Iachini di dargli una mano: “Beppe, siamo in difficoltà, abbiamo una macchina perfetta, ma ci vuole la tua mano per farla funzionare!”. Non l’aveva fatto questa estate, quando non aveva voluto aspettare un paio di settimane, chiestegli Iachini, che era in attesa di una prestigiosa chiamata dalla serie A. Lo fa adesso, perché Perinetti insiste, gli fa capire che non c’è tempo da perdere se non vuol gettar per aria tutto il lavoro fatto in estate per assemblare la squadra giusta per vincere il campionato.

E il campionato, infatti, il Palermo lo sta vincendo e, tranne cataclismi, terremoti, rivoluzioni epocali, da qui alla fine del torneo sarà una cavalcata trionfale. E allora, sì, rivedremo finalmente il “Barbera” stracolmo, non ci sarà un solo seggiolino libero, tutti allo stadio, tutti sul carro del vincitore. Succede da queste parti e non me ne dolgo mai abbastanza, perché tifare non significa solo condividere le vittorie ma anche, se non soprattutto, le sconfitte. Ridere insieme, ma anche piangere insieme.

E la chiudo qui con una nota che non voglio risparmiarmi, dedicata ai “professoroni” di Sky, l’ineffabile duo di superesperti che, richiesti di un pronostico, anche stavolta, come a Pescara, hanno dato perdente il Palermo. Ben gli sta! E mi auguro che continueranno a farlo, visto che il Palermo di Iachini è più forte pure dei menagramo. I quali, non paghi dell’ennesima “mala fiura” fatta, a fine partita chiedono a Iachini “come mai il Palermo ha avuto tutte queste difficoltà a Varese” E Iachini, pur conservando il suo aplomb da signore, stavolta risponde un po’ piccato: “Veramente siamo subito entrati in campo per fare la partita e per un quarto d’ora c’era solo il Palermo in campo. Poi, su un corner e una marcatura saltata, loro hanno fatto gol, ma noi proprio da quel momento abbiamo dimostrato di che pasta siamo fatti. Prima pareggiando e poi vincendo meritatamente”.

E alla faccia dei gufi, dei “malopensanti”, dei criticoni, che proseguono imperterriti alla ricerca del pelo perduto. E siccome ora non possono più aggrapparsi al “gioco che non c’è”, blaterano di amenità varie, tipo Terzi di qua, Milanovic di là, Pisano che non sa crossare mentre Stevanovic è una freccia e perfino che – udite udite – che Maresca “è troppo lento” e Barreto, sì capitan Barreto, proprio lui, “non è da serie A”. Per finire… in gloria: “Questa squadra va rifatta di sana pianta in serie A, perché da serie A non ha più di due-tre giocatori!”. E quest’ultima più che una esagerazione è una cattiveria gratuita nei confronti di quei giocatori, tutti inclusi e nessuno escluso, che stanno facendo volare verso la serie A il Palermo dei record, l’ultimo dei quali quello delle vittorie consecutive in trasferta.

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30 Marzo 2014, 12:58

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