D’Ambrogio e le agenzie funebri| Beni restituiti, ma licenza sospesa

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02 Settembre 2016, 05:00

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PALERMO – Niente confisca, l’agenzia di pompe funebri viene dissequestrata e restituita, ma la licenza è sospesa per i prossimi cinque anni. Si chiude in maniera inaspettata il procedimento di prevenzione nei confronti del boss palermitano di Porta Nuova, Alessandro D’Ambrogio.

Il sequestro, eseguito alla fine del 2014, rappresentò una delle iniziative più forti dal punto di vista simbolico nella lotta alla mafia degli ultimi anni. Un colpo all’immagine della nuova Cosa nostra. Al termine di un’analisi durata due anni la sezione Misure di prevenzione presieduta da Giacomo Montalbano non conferma, o almeno la fa solo in piccola parte, il provvedimento emesso dalla vecchia sezione, allora presieduta da Silvana Saguto (oggi sospesa dal Csm).

Vengono restituiti l’intero capitale sociale e i beni della società “Servizi Funebri D’Ambrogio di Mangiaracina Teresa & C. sas, con sede in via Ponticello. Le quote risultano intestate a Cosima Fuschi e Teresa Mangiaracina, mogli di Gaetano e Sebastiano D’Ambrogio, fratelli del boss; la ditta individuale “Fuschi Cosima”, anch’essa si occupa di servizi funebri, con sede in via Porta Sant’Agata; quattro immobili nel centro storico – via Tricomi, vicolo Averna e piazza Santissimi Martiri – in parte intestati a Maria Russo, madre dei fratelli D’Ambrogio.

Contestualmente, però, il Tribunale ha sospeso la licenza per cinque anni alla “Servizi Funebri D’Ambrogio di Mangiaracina Teresa”. Secondo il Tribunale, ”deve ritenersi” che le cognate di D’Ambrogio, “avessero consentito” a D’Ambrogio di svolgere le sue attività criminali nel locale (si tratta del locale di via Porta Sant’Agata, ndr) formalmente in uso alla società”. Una circostanza che “dimostra la capacità di influenza sulle scelte della società, che giustifica la decadenza della società da ogni autorizzazione” ad esercitare l’attività. Di fatto, però, l’attività prosegue con la ditta individuale “Fuschi Cosima” sgravata da ogni pendenza.

Per il resto ha avuto ragione il collegio difensivo, composto dagli avvocati Jimmy D’Azzò, Piero Alosi e Riccardo Russo. Non ha retto la ricostruzione degli investigatori e della Procura, secondo cui il vero dominus dell’agenzia funebre era il boss di Porta Nuova. Boss che non ha mai presentato alcuna dichiarazione dei redditi, fatta eccezione per le cifre irrisorie guadagnate nel 2003 e nel 2004 lavorando in carcere. Carcere dove è tornato, dopo avere scontato una lunga condanna, nel luglio 2013 con l’accusa di essere diventato un capo mandamento. I legali hanno dimostrato che l’attività è stata avviata nel 1920 dal bisnonno di D’Ambrogio, proseguita dal nonno, e infine affidata ai fratelli, Sebastiano e Gaetano, che l’hanno formalmente intestata nel 1996 alle mogli.

Non ci sono, dunque, gli indizi sufficienti per sostenere che Alessandro D’Ambrogio sia il vero proprietario dell’agenzia e degli immobili. Non ci sono le prove che fosse lui e non le cognate a gestire l’attività. Analogamente, per quanto riguarda gli immobili nel centro storico, non si può affermare con certezza che siano stati comprati con soldi sporchi. È andata male, invece, a Raffaele Esposito, dipendente dell’agenzia funebre, a cui è stata confiscata una Mini Cooper Countryman. Nelle conversazioni intercettate Esposito si rammaricava per le sue difficoltà economiche e quando gli hanno chiesto come fosse riuscito a compare la macchina è stato giudicato “reticente”. Il Tribunale, riconoscendo D’Ambrogio socialmente pericoloso, gli ha applicato la sorveglianza speciale per cinque anni.

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02 Settembre 2016, 05:00

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