13 Settembre 2017, 19:14
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ROMA – Il pentito Salvatore Cancemi “in quattro udienze affermò che nel contesto temporale del giugno ’92, Riina si assunse la responsabilità di uccidere Paolo Borsellino, che in quel momento citava Berlusconi e Dell’Utri come soggetti da appoggiare ora e in futuro e rassicurava che fare quella strage sarebbe stato un bene per tutta Cosa Nostra”. Lo ha detto davanti alla Commissione parlamentare antimafia il sostituto procuratore nazionale Antimafia Nino di Matteo, ripercorrendo fasi processuali relative alle stragi del ’92. Cancemi dal 93 al 96 fu protetto presso una caserma del Ros – ha ricordato Di Matteo – e “a seguito di queste dichiarazioni io e il pm Tescaroli chiedemmo al procuratore Tinebra che venissero iscritti per concorso in strage Berlusconi e Dell’Utri”.
“Ci sono ancora molti spunti emersi nel corso delle indagini nei processi sulla strage di via D’Amelio, sui quali sui quali bisognerebbe ancora indagare”, ha aggiunto Di Matteo. In particolare, ricorda che attorno alla presunta presenza di Bruno Contrada in via D’Amelio, il giorno dopo la strage avvenuta il 26 luglio 1992, ci sono state versioni contrastanti e reticenti da parte di esponenti delle forze dell’ordine. E che questa vicenda è stata anche al centro di un processo per falsa testimonianza ai pm.
“Il giorno dopo la strage di via d’Amelio – ricorda Di Matteo – un ufficiale, il capitano Umberto Sinico, si presentò in procura a Palermo e ad alcuni magistrati, Antonio Ingroia e un altro, disse che aveva saputo che nel momento immediatamente successivo all’esplosione era stato visto il dottor Contrada allontanarsi dal teatro della strage, forse con un’agenda in mano. Ingroia riferì immediatamente i fatti alla dottoressa Boccassini. Sinico era stato chiamato dalla Boccassini e aveva risposto che poiché si trattava di un amico fraterno non poteva dire chi era stato a dargli questa notizia”.
“Qualche anno dopo – ha riferito Di Matteo – lessi di questa vicenda nei verbali e andai dal procuratore dell’epoca: “dissi, questo ufficiale non può invocare il diritto al segreto dell’identita’ della fonte, è stato reticente e lo richiamai. Questo ufficiale, particolarmente efficace ed esposto alla lotta alla criminalità, rispose che avevo ragione ma si sarebbe fatto incriminare e io lo iscrissi nel registro degli indagati per false informazioni al pm”.
“Un sabato pomeriggio – ricorda ancora Di Matteo – si presento’ in procura e mi disse che aveva deciso di fare il nome perché nel frattempo altri ufficiali dei carabinieri avevano detto di aver saputo che Contrada era li’. La sua fonte era un funzionario di polizia, il dottor Roberto Di Legami. La stessa sera del 19 luglio alla squadra mobile degli agenti di polizia avevano visto Contrada in via d’Amelio e avevano presentato una relazione di servizio ma gli era stato intimato di distruggerla. Io disposi – continua Di Matteo – dei confronti tra ufficiali dei carabinieri e polizia, per chiarire un contrasto su una circostanza sulla presenza di Contrada, da una parte ufficiali dei cc e un funzionario della polizia che dicevano il contrario. Non si sapeva chi avesse detto la verità e si è fatto un processo passato sotto silenzio che si e’ concluso con una assoluzione”. (ANSA).
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13 Settembre 2017, 19:14