Berlusconi, Miccichè|e Richelieu al pistacchio

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07 Giugno 2009, 00:00

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Berlusconi non si illuda: per risolvere il caso Sicilia – che ormai somiglia sempre di piu’ a una polveriera di rancori, di cose dette e di cose non fatte – difficilmente bastera’ una chiacchierata con Raffaele Lombardo o una pacca sulla spalla di Gianfranco Micciche’, il sottosegretario che, con le sue irrequietezze e il suo irredentismo, e’ riuscito a mettere in crisi i parrucconi del Pdl: dal caramelloso Bondi al damascato Schifani, dall’incipriato Alfano all’impomatato Castiglione, meglio conosciuto come il bravo picciotto; nel senso – ironico e spassoso, per carita’ – di quel bellissimo film interpretato da Alberto Sordi nel quale troneggiava una battuta: “Mamma comanda e picciotto va e fa”.
Non si sono fatti mancare nulla i coordinatori nazionali e regionali del Pdl pur di costringere Micciche’ ad abbandonare la linea sicilianista di Lombardo. Prima hanno sventolato la minaccia che su di lui e sulla setta degli assessori ribelli sarebbe piovuto un editto di espulsione con i sigilli cardinalizi di via dell’Umilta’. E, subito dopo, quando hanno visto che il “vade retro” non turbava piu’ di tanto il piccolo satana annidato nelle campagne di Sant’Ambrogio, gli hanno fatto sapere che, con l’espulsione, sarebbe anche arrivata la scomunica di Palazzo Grazioli, sede del papa re: che futuro politico avrebbe mai potuto avere l’eretico Micciche’ se persino Berlusconi, che non ha mai fatto mistero di custodirlo al centro del proprio cuore, avrebbe alzato la croce dell’Inquisizione con l’implacabile “Exurge Domine”?
Non era una minaccia da ridere e i consiglieri siciliani, da Alfano a Schifani, erano certi di potere approfittare di questi giorni di smarrimento, chiamiamolo cosi’, per trascinare il Cavaliere dalla loro parte e caricarlo a pallettoni contro il monaco ribelle: certo, presidente, Micciche’ e’ stato il coordinatore del sessantuno a zero, il regista che nelle “politiche” del 2001, ha ridotto la sinistra a una orgogliosa inesistenza; ma come non vedere nel suo testardo sostegno a Lombardo un demone secessionista da estirpare e stritolare immediatamente?
Si’, i Richelieu al pistacchio ci hanno provato, eccome. Ma Sua Maesta’, forse perche’ di questi tempi ha ben altri ugonotti da combattere, non ha voluto sapere nulla ne’ di congiure ne’ di cospirazioni. E ha quasi lasciato cadere il discorso, senza condanne e senza punizioni, senza roghi e senza maledizioni.
Semplicemente con un ditino di saggezza e ovvieta’: ne parleremo dopo le elezioni.
Gia’. Ma che cosa potra’ succedere dopo le elezioni, nella fatale sfida tra il partito dei curiali e il partito dei ribelli?
Berlusconi, se non e’ troppo frastornato dalle storiacce che lo circondano, dovrebbe sapere fin troppo bene che gli equilibri interni al suo palazzo sono un po’ cambiati. Prima c’era lui e Forza Italia, un movimento di sua esclusiva proprieta’. Da marzo, dopo il congresso dell’unificazione, c’e’ il Popolo della Liberta’, un partito nel quale sono pacificamente confluiti – con uomini armi e vettovagliamenti – due eserciti con uniformi simili ma non uguali: l’esercito di Forza Italia e quello di Alleanza Nazionale.
Una fusione a freddo che, pur nella condivisione di comuni interessi, ha prodotto un fenomeno che spiazza non solo la vecchia Forza Italia ma anche e soprattutto Berlusconi. Questo fenomeno si chiama Gianfranco Fini. L’ex leader di An vuole un Pdl dove ci sia un dibattito e un confronto di idee. E per raggiungere tale obiettivo e’ intervenuto, con l’autorevolezza che gli deriva dalla presidenza della Camera, sui temi piu’ delicati: dalla giustizia alle questioni etiche, dall’immigrazione alle questioni costituzionali. Il Cavaliere a volte lo ha subito, spesso lo ha sopportato. Ma prima o poi dovra’ fare i conti con le cose che la terza carica dello Stato dice pubblicamente e pubblicamente sostiene. E’ la logica del partito, bellezza. Di un partito che, a differenza di Forza Italia, ha i suoi organi statutari e le sue liturgie, una possibile maggioranza e una possibile minoranza. Un luogo, insomma, dove si puo’ anche decidere discutendo.
Quel che accade in questi giorni nel Pdl siciliano non e’ altro che il riflesso, speculare e periferico, di un travaglio politico che da Roma comincia a toccare tutte le regioni dell’impero. Altro che dissensi personali, come vorrebbe far credere il Cav. Altro che eretici contro santa romana chiesa, come vorrebbero far credere i cerimonieri di palazzo Grazioli. Certo, dietro i sacri paramenti della politica, c’e’ sempre un uomo e un peccatore, con i suoi risentimenti e le sue ambizioni di potere. E nessuno potra’ mai negare che dietro i furori meridionalisti e il linguaggio aggressivo di Micciche’ ci sia un’incontenibile voglia di restituire al mittente fango e umiliazioni vissute negli anni del sottosuolo. “Io sono solo e loro invece sono tutti”, fa dire Dostojevski al suo impietrito protagonista. Ma dietro gli atteggiamenti, spesso provocatori e picareschi, di Micciche’ ci sono questioni politiche – diverse, si badi bene, da quelle poste da Fini – che Berlusconi prima o poi dovra’ affrontare e risolvere.
I cantastorie hanno finora fatto credere a Sua Maesta’ che la Sicilia poteva essere considerata una riserva di caccia elettorale, un tranquillo granaio di voti dove si aggirava un pazzotico Gino di Tacco, un banditello di quattro soldi che i gendarmi dell’Intendenza avrebbero prima o poi impalato a un crocevia di campagna. E invece no. E’ la Sicilia che, politicamente, e’ diventata un crocevia; perche’ e’ qui, in questa regione dell’impero, che il Pdl deve decidere che cosa fare da grande: se restare il partito dei cardinali che utilizzano i voti e le indulgenze della Sicilia per costruire carriere nei sant’uffizi romani o se deve essere il partito che cerca e utilizza il consenso per tentare finalmente di cambiare le cose e di dare a questa sventurata isoluzza, fiammeggiata dal sole ma flagellata da una crisi senza precedenti, una prospettiva di riscatto e di sviluppo, di rigore e trasparenza.
No, amatissimo cavalier Berlusconi. La rivolta della classe dirigente siciliana contro i louisfilippard del Pdl non e’ piu’ un fatto che riguarda Micciche’ e i suoi assessori ribelli. E’ un fenomeno politico e culturale, destinato a spaccare, in maniera sempre piu’ profonda, non solo il Popolo della Liberta’ ma comunita’ e amministratori locali, categorie sociali e forze produttive, borghesia e societa’ civile. La prova provata sta nel fatto che la linea sicilianista – ma si’, a tratti anche utopistica e pretenziosa, a tratti persino spocchiosa e moralista – non e’ piu’ patrimonio esclusivo di Lombardo e di un’ala estremizzante dell’ex Forza Italia. Ma il terreno di un’azione politica che coinvolge uomini e mondi fino all’altro ieri lontani tra loro: da Micciche’ a Dore Misuraca, leader del Pdl palermitano; da Stefania Prestigiacomo a Pippo Scalia, ex coordinatore di An, molto vicino a Gianfranco Fini. Tutti portatori di istanze, storie ed esperienze diverse ma legati insieme, cosi’ dicono, dalla volonta’ di rifiutare, con moderazione e senza estremismi, qualsiasi sudditanza a logiche estranee agli interessi della Sicilia. Ci riusciranno? C’e’ da augurarselo. Rappresentano la maggioranza o una minoranza? E’ difficile stabilirlo oggi; e sara’ anche difficile stabilirlo lunedi’, dopo la conta delle “europee”.
L’unica certezza sta, forse, nel grido di Spartaco: “Ah, se gli schiavi si contassero”. Lo rievocava Leonardo Sciascia negli anni angosciosi dei primi delitti eccellenti, in cui l’antimafia delle coscienze muoveva i primi passi e la rivolta contro i boss sembrava ancora un azzardo. Ah, se gli schiavi si contassero, annotava: scoprirebbero di essere piu’ forti e numerosi dei patrizi romani.

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07 Giugno 2009, 00:00

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