13 Gennaio 2023, 06:00
3 min di lettura
Caro Biagio, sei morto tante volte, per rinascere, e vivrai per sempre. Come quando scegliesti quello che volevi essere: l’ultimo tra gli ultimi, lasciando una casa sicura e cominciando un viaggio interminabile, sotto le stelle e i cieli, per le vie del mondo. E chissà quanto deve essere stato forte l’amore che, dopo i suoi dilemmi, ha accettato quella decisione. Tu sei diventato Biagio Conte anche perché figlio, fratello e amico di persone che ti hanno amato, senza domande, né condizioni. Caro Biagio, in quante occasioni sei morto e rinato. Ora sarai eterno.
Ti uccideva l’indifferenza delle persone. Quel passare accanto al dolore senza vederlo. No, non vedevamo le lacrime, né i fagotti sul ciglio delle strada, con sembianze umane che sporgevano da lembi sdruciti. Non sentivamo il freddo nelle ossa di chi dorme all’addiaccio, né i crampi allo stomaco della fame vera che non sarà mai appetito. E poi sei arrivato tu, con il tuo sguardo dolce e severo, con i tuoi occhi di cielo. Ed è stato nel tuo riflesso che, finalmente, ci siamo accorti dei respiri ai margini, delle coperte strappate, di quanto morda il gelo per chi non può coprirsi. Per qualcuno, coloro che ti hanno seguito, sei stato un traguardo irrinunciabile e radicale. Ma anche chi non ha cambiato tutto, è cambiato in molto.
E tra quelli che ti amano e che ti hanno scoperto c’è Franco Lannino, anima gentile, anche se lui finge che non sia così. Ha pubblicato sui social una foto che ti ritrae agli inizi, caro Biagio, lui che era e rimane un fuoriclasse della cronaca. Ci sei tu, con quel tuo sorriso giovane e il cane ‘Libertà’ che condivise con te pagnotte, speranze e singhiozzi. Noi, nell’imbatterci in quello scatto (grazie Franco, per averlo concesso alla memoria), abbiamo provato un sussulto nella profondità del cuore. Era la storia che cominciava per creare una immensa rete di solidarietà. Ma tu, il ragazzo di allora, non potevi saperlo.
Caro Biagio, però, sapevi essere duro e giusto. Ricordo quando dormivi alle Poste, sotto l’acqua e gli spifferi, in un sacco a pelo, per protestare, immancabilmente, contro la durezza dell’egoismo. Erano morti dei fratelli, sotto il cielo di Palermo e tu non potevi sopportarlo. Ancora una volta, ne morivi. Mi avvicinai, tossivi: “Biagio – dissi timidamente – torna alla Missione, stai male”. Il mio invito fu accolto da parole cortesi ed esplicite: “Caro Roberto, grazie per essere venuto. Ora, però, voglio che tu vada via”. Sì, avevi ragione. Non ci si mette sul cammino di un miracolo, per ridurlo a più miti consigli. Non si rinchiude un segno nella scatola delle istruzioni per l’uso che nessuno ha richiesto.
Miracoli, sì, umanissimi. Li abbiamo visti, nei giorni scorsi, alla Missione. Ci sono state riconciliazioni al tuo capezzale. Ci sono state persone che si sono incontrate di nuovo, dopo anni. E si sono parlate. E c’è stato – questo il prodigio supremo – un profumo di gioia, nell’incedere del dolore. Come se essere lì, con te, in quei momenti, fosse il pegno dello stare insieme e non lasciarsi più.
Caro Biagio, pensiamo ai tuoi. A chi ti ha sorretto. A don Pino, a Francesco, ad Antonio, a Riccardo, alle sorelle missionarie. Sono stati, tutti, la forza di ognuno, nonostante avessero l’anima trapassata. Ieri, li abbiamo sentiti cantare, con la chitarra, come se l’addio fosse una festa. Ma era, in effetti, la risposta in musica a una domanda antichissima e disperata che si colora di speranza. Vivremo per sempre. (Roberto Puglisi)
Pubblicato il
13 Gennaio 2023, 06:00