Bioenergia, ricerca scientifica| sulla coltivazione delle canne

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14 Maggio 2017, 12:53

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CATANIA – Tutti, almeno una volta nella vita, abbiamo fatto una escursione lungo le sponde di un fiume o in una zona con risorgive di acqua dal sottosuolo e le piante che abbiamo incontrato in maggior misura sono state le canne. Queste, in alcune zone crescono in maniera così abbondante e fitta da formare dei veri e propri, impenetrabili, muri verdi. Queste piante, che mosse dal vento producono un tanto caratteristico quanto rilassante suono, sono molto belle da vedere ma anche utili per il buon funzionamento degli ecosistemi perché fungono da depuratori naturali delle acque e dei fondi degli stagni, fiumi e laghi dove vivono e dai quali assorbono il Carbonio in accesso che vi si può trovare sotto varie forme.

La canna comune, Arundo donax il suo nome scientifico, inoltre, grazie al fatto di essere una pianta poliennale, sempreverde e capace di produrre grandi quantità di biomassa senza alcuna particolare attenzione colturale e che ben si adatta agli ambienti più diversi rappresenta una vera e propria fonte inesauribile di biomasse da convertire in energia. Tutto ciò è particolarmente vero nelle regioni del sud Europa.

Le coltivazioni a canna comune, infatti, sono in grado di dare rese, in biomassa utile, doppie rispetto alle coltivazioni di mais e possono anche essere mietute due volte l’anno. Tutto ciò significa poter disporre di enormi quantità di materiale da destinare alla produzione di biogas (biometano), di bioetanolo (un alcol già utilizzato nei motori a scoppio soprattutto in Brasile) e calore (se gli scarti secchi vengono destinati alla combustione in centrali termiche).

L’unico neo di Arundo donax è la riproduzione; alle nostre latitudini questa specie si riproduce solo per via vegetativa e a causa di ciò la pianta si diffonde molto lentamente. Questo perché i fiori prodotti dalla Canna comune qui da noi sono fiori sterili e, pertanto, incapaci di dare frutti e semi.

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Un team di ricercatori, coordinato dalle dottoresse Valeria Cavallaro e Cristina Patanè, dell’”IVALSA/CNR” di Catania in collaborazione con il “Di3A” dell’Università di Catania ha dunque messo in atto una serie di esperimenti per riuscire ad ottenere una rapida propagazione della specie quasi come negli areali in cui questa specie è in grado di produrre fiori da cui si formano semi fertili.

Secondo quanto dichiarato dalla dottoressa Cristina Patanè, dell’IVALSA/CNR, la canna comune è una delle specie più promettenti per la produzione di bioenergia, in particolare nelle regioni dell’Europa meridionale, negli areali mediterranei e in tutte quelle zone che soffrono di una limitata disponibilità idrica e di nutrienti. Ma , fino ad oggi, l’utilizzo di queste piante era rimasto limitato per via della sterilità dei fiori alle nostre latitudini e l’unico mezzo per riprodurre queste piante era il sistema vegetativo che però non consente di produrre grandi quantità di biomasse in poco tempo.

L’attività sperimentale dei ricercatori si è, pertanto, concentrata sulla messa a punto di una tecnica innovativa di micropropagazione in vitro che ha consentito al team dell’Istituto per la Valorizzazione del Legno e delle Specie Arboree (IVALSA) del Cnr e del Dipartimento di Agricoltura, Alimentazione e Ambiente (Di3A) dell’Università, di Catania, di risolvere il problema della sterilità che fino a oggi ha limitato l’utilizzo su larga scala di Arundo donax.

La dottoressa Valeria Cavallaro, dell’IVALSA/CNR, ha spiegato che quello della micropropagazione in vitro è una tecnica di largamente utilizzata a livello commerciale per altre specie vegetali ma mai applicata su canna comune. Grazie alla messa a punto della tecnica di micropropagazione in vitro adeguata per la moltiplicazione di Canna comune i ricercatori sono stati in grado di assicurare tassi di moltiplicazione fino a 1.000 volte più alti di quelli ottenuti con i metodi di propagazione vegetativa tradizionali garantendo, al contempo, un alto grado di identità genetica. Tra l’altro, grazie alla coltura in vitro su terreni di coltura liquidi che può essere applicata su larga scala si ha la possibilità di produrre in sei mesi circa 1.200 nuove piantine, un numero notevolmente più elevato di quello ottenuto con i metodi convenzionali di propagazione e a costi considerevolmente ridotti rispetto alle tecniche convenzionali.

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14 Maggio 2017, 12:53

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