08 Giugno 2019, 06:00
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CATANIA – Problemi decennali o fulmini a ciel sereno: il lavoro in Sicilia è come una bomba con la miccia accesa, con aziende che proclamano a cadenza settimanale crisi e agitazioni. Quasi cinquemila i posti immediatamente a rischio nelle prossime settimane a causa di vertenze che si trascinano da tempo, come quella di Blutec e Cmc, o che arrivano come tegole sulla testa come quelle di Almaviva e Dacca. Sullo sfondo una politica impegnata a scambiarsi accuse, con i due partiti di governo che si accusano e si passano di mano la miccia invece di provare a spegnerla.
La maledizione di Termini Imerese
Ormai un pezzo di storia del paese, la vertenza Blutec con i suoi 570 operai è il simbolo di tutti i problemi di occupazione della Sicilia. La Fiat chiuse lo stabilimento di Termini Imerese nel 2009 e da allora sono state fatte decine di ipotesi di rilancio industriale. Tutte evaporate, con i cancelli dello stabilimento rimasti chiusi e gli operai che ogni tanto vengono mandati a tagliare le erbacce nei piazzali. L’arrivo di Blutec per produrre auto ibride ed elettriche, nel 2015, aveva dato qualche speranza, per quanto cauta. Ma nell’aprile di quest’anno ogni cosa si è dissolta davanti agli arresti domiciliari per i vertici dell’azienda, accusati di malversazione per aver speso “in attività speculative non riconducibili alla realizzazione del progetto”, secondo il Gip di Torino incaricato delle indagini, gran parte delle risorse pubbliche ricevute per fare ripartire lo stabilimento.
Su Termini Imerese si è consumato uno scambio di colpi tra il presidente della Regione Musumeci e il Movimento cinque stelle, con il primo che chiede al ministro per lo Sviluppo economico Di Maio di convocare subito un tavolo su Blutec, e deputato Cinque stelle all’Ars Luigi Sunseri a rispondere con ironia che il tavolo è già convocato da ventiquattro ore e che si svolgerà il 21 di giugno. “A tale proposito, mi chiedo se il signor presidente sarà presente” è stata la chiosa di Sunseri. Intanto è evaporata un’altra speranza: quella legata alla fusione tra Fca e Renault. Un accordo che sembra ormai saltato e al quale il governatore Musumeci nei giorni scorsi aveva guardato con interesse. Niente da fare.
Almaviva: 1300 lavoratori a rischio
Il ministero guidato da Di Maio è chiamato in causa anche per un’altra vicenda, quella Almaviva. La società di gestione di call center ha comunicato il taglio del settanta per cento dei volumi di traffico da parte di Wind e Tim, che da sole coprono la metà dell’intero fatturato sviluppato su Palermo. Questo comporterebbe la procedura di esubero per 1300 lavoratori, con volumi di lavoro sempre più ridotti e la stessa esistenza del call center palermitano messa in dubbio. L’incertezza, infatti, è anche sulla continuazione di altre commesse, come quella con Alitalia in scadenza a fine giugno. “Ora più che mai – scrivono in una nota congiunta i sindacati Slc Cgil, Fistel Cisl, Uilcom Uil e Ugl Tlc – occorre un intervento istituzionale a tutti i livelli. Le attese nei confronti di questo governo, che punta l’attenzione sulla tutela del reddito e sulla tutela del lavoro del Paese, devono trovare la loro concretizzazione nell’immediato, proprio nel sud Italia”.
I cantieri bloccati
Ma il problema più pesante in termini di numeri è quello di Cmc, su cui non a caso si consuma la maggiore polemica tra governo Musumeci, Movimento cinque stelle e governo nazionale. Il colosso ravennate dell’edilizia è in crisi ed è debitore con fornitori e affidatari in tutta Italia, e tra questi ci sono le aziende siciliane impegnate su appalti come la Palermo – Agrigento e la Caltanissetta – Agrigento. Le persone impegnate nei lavori, circa 2500, speravano nell’emendamento del decreto sblocca cantieri che avrebbe istituito un fondo con cui pagare il 70 per cento dei creditori, ma l’emendamento è stato ritirato.
La promessa è di inserire l’emendamento salvaimprese nel decreto crescita, che verrà discusso in parlamento la prossima settimana. Nel frattempo però si è di nuovo accesa la polemica politica, con il presidente della Regione Musumeci che ha definito “scellerata” la rimozione dell’emendamento e ha attaccato il ministro per le infrastrutture Danilo Toninelli, che non avrebbe rispettato gli impegni presi in Sicilia durante la campagna elettorale per le europee. I deputati del Movimento all’Ars hanno risposto dando la colpa della cancellazione alla Lega e iscrivendo d’ufficio lo stesso Musumeci al partito del Carroccio. I pentastellati hanno infatti scritto che il presidente della Regione dovrebbe “suggerire ai suoi colleghi della Lega in Parlamento di non fare bizze” e di approvare il decreto crescita in cui sarà inserito il fondo per le imprese creditrici di Cmc.
Le quote tonno
Ancora gli equilibri romani e ancora il Movimento che prende le distanze dalla Lega hanno fatto da rumore di fondo a un’altra vicenda di queste ultime settimane, quella della riapertura della tonnara di Favignana. Che era stata salutata come il rilancio di una tradizione ma su cui c’erano delle necessità concrete, ovvero la quota di 84 tonnellate di tonno, specie protetta e regolamentata, che l’azienda Nino Castiglione aveva fissato come limite per non rendere tutta l’operazione una perdita dal punto di vista economico. A maggio le quote sono state diffuse dal ministero delle politiche agricole ed è stata un’altra doccia fredda: le 14 tonnellate assegnate a Favignana non giustificavano l’investimento da 700 mila euro deciso da Castiglione, che ha subito interrotto i lavori e ha lasciato in forse il destino delle ottanta persone che avrebbero dovuto lavorare alla tonnara.
Anche in questo caso le prospettive dipendono dalla politica. Che in un primo momento ha battibeccato: la Lega ha sostenuto che la colpa fosse dell’Unione europea e della sua ripartizione di quote, che favorirebbe i paesi nordici, mentre il Movimento cinque stelle ha attaccato ancora una volta l’alleato romano sostenendo che l’Unione europea stabilisce le quote per ogni paese, ma che tocca poi al ministero decidere come ripartirle in ogni regione. Gli occhi adesso sono tutti sul ministro delle politiche agricole, il leghista Gian Marco Centinaio, a cui toccherà decidere se lasciare tutto così com’è o cambiare qualcosa. Sul piatto c’è anche la sopravvivenza di una tradizione, su un’isola come Favignana in cui la Lega ha preso la maggioranza dei voti alle ultime elezioni europee.
Plastic free: la crisi di Dacca
La politica non ha ancora detto nulla invece sull’ennesima crisi annunciata, quella della storica azienda di stoviglie in plastica Dacca. L’impresa catanese è stata costretta a chiudere a causa della crisi della grande distribuzione e dei mancati pagamenti da parte di alcuni grossi clienti, con più di cento persone che rischiano di trovarsi senza lavoro. All’orizzonte c’è anche la direttiva europea sull’abbandono della plastica, e proprio su questo la politica avrebbe dovuto dire qualcosa, almeno secondo quanto dicono i sindacati: “La Dacca è la prima vittima di una politica che non è in grado, o peggio, non è interessata, a gestire e governare i processi di cambiamento – hanno scritto in un comunicato Filctem Cgil, Femca Cisl e Uiltec Uil di Catania – Governare i processi significa gestire la transizione e per far ciò bisogna incidere sulla cultura d’imprese, su quella sociale e sul lavoro”. Anche in questo caso la richiesta è per una convocazione al ministero dello Sviluppo economico. Nei prossimi mesi, quindi, la questione del lavoro siciliano sarà sempre di più una questione nazionale.
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08 Giugno 2019, 06:00