07 Marzo 2015, 17:08
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PALERMO – Un microcosmo all’interno della città, racchiuso nel quadrilatero tra il Teatro Politeama e l’Ucciardone, dove vendette pubbliche e regolamenti di conti restano chiusi in una fortezza di impenetrabili silenzi. Il Borgo Vecchio, a pochi metri dal salotto della città e, negli ultimi anni, tappa della movida palermitana, finisce nuovamente nell’occhio del ciclone dopo la sparatoria che mercoledì sera ha seminato il panico in piazza. Una piazza insanguinata che ha già fatto da sfondo ad omicidi e a scene da far west, episodi sui quali le bocche sono quasi sempre rimaste cucite. Un quartiere popolare dove di giorno si svolge il secolare mercato e in cui la sera centinaia di giovani s’incontrano per bere e mangiare qualcosa, ma in cui nessuno vede o sente nulla. I testimoni si dileguano, le saracinesche si abbassano, le porte si chiudono. E tutto tace.
Così è stato anche quattro sere fa, quando dieci colpi d’arma da fuoco hanno creato il caos. Nessun ferito, nemmeno una traccia di sangue, ma i segni del duello sono stati trovati a terra, sulla porta del bagno di una bottiglieria, sul muro di una palazzina. I bossoli di due pistole diverse e di un fucile a canne mozze sono stati sequestrati dalla polizia che ha effettuato i rilievi fino a tarda notte. La piazza, fino a via Ximenes, è diventata off-limits ancora una volta. Come quando fu chiusa dopo il duplice omicidio di Antonino Lupo e Vincenzo Chiovaro: i due giovani pregiudicati furono trovati massacrati a coltellate il 23 aprile 2002, ma il muro d’omertà si ruppe solo sette anni dopo, quando finirono in manette Gaetano Cinà e i suoi due figli. Nessuno aveva assistito alla ferocia del delitto commesso in pieno giorno e in una piazza affollata. Alla fine si presentò un testimone, Fabio Nuccio, fratello del collaboratore di giustizia Antonino. Chiovaro e Lupo sarebbero stati uccisi perché avevano rubato lo scooter ad uno dei Cinà e per restituirlo pretendevano un riscatto.
Quando i Cinà andarono a chiedere spiegazioni, tornarono gonfi di botte. Chiovaro era esperto di arti marziali. E così sarebbe scattata la vendetta. I Cinà furono arrestati nel 2009, ma lo scorso anno una delle prove principali è stata dichiarata inutilizzabile: alcuni testimoni fecero infatti i nomi degli imputati nel corso di una conversazione perché avrebbero subito “illecite pressioni”. La Cassazione ha annullato con rinvio la condanna e dovrà essere celebrato un nuovo processo d’appello nei confronti degli imputati che in secondo grado erano stati condannati a sedici anni ciascuno di carcere.
Nel 2005, un altro delitto trasformò le stradine del Borgo nel Bronx palermitano. Stavolta l’omicidio avvenne di notte, quando Giovanni De Luca, vent’anni, si trovava davanti al distributore per le sigarette di un tabaccaio in piazza. Non sapeva di essere già nel mirino dei suoi killer: fu raggiunto da una raffica di colpi di revolver mentre la zona era brulicante di vita. Le pizzerie erano ancora affollate, così come le taverne e i bar. Un’altra esecuzione davanti ai “fantasmi” del Borgo Vecchio, poco dopo spariti, volatilizzati. In quei giorni il quartiere si chiuse, si serrò. Anche l’ambulante che la sera dell’omicidio era presente disse di non sapere niente. Chi abitava nella zona raccontò di non essere a casa o di avere continuato a dormire.
Un delitto a lungo rimasto impunito, fino alle nuove dichiarazioni di Nuccio che indirizzarono gli inquirenti verso Giuseppe Pecoraro, per il quale la corte d’assise di Palermo, nel 2012, ha confermato la condanna in primo grado a ventun’anni di carcere. Il Borgo Vecchio, come hanno dimostrato gli ultimi arresti delle maxi operazioni dei carabinieri Apocalisse 1 ed Apocalisse 2, appare d’altronde come un grande crocevia di intrecci mafiosi. Nell’articolo sul numero di “S”, in edicola da ieri, emerge come tutte le grandi inchieste di mafia si ritrovino a “passare” dal popolare quartiere, dove erano di casa personaggi come Pietro Magrì, Gregorio e Domenico Palazzotto, oggi al 41 bis perché considerati capimafia dell’Arenella. Per i summit sceglievano una taverna del Borgo pur vivendo dall’altra parte della città.
In alcune intercettazioni eseguite durante i colloqui in carcere di Gregorio Palazzotto, che in cella c’era già nel 2013, faceva capolino spesso un nome: “…Vedi che Mimmo… quando ha cominciato a unirsi con me neanche sapeva dov’era la via Oreto… via Roma… Falsomiele… non sapeva neanche le strade, lo portai allo Sperone… e glielo ho dovuto portare tre volte, perché non la indovinava la strada… lui dal Borgo non è uscito mai… hai capito?. Mimmo sarebbe Domenico Tantillo, considerato “personaggio di spicco della famiglia mafiosa di Borgo Vecchio” e con cui Palazzotto aveva contatti epistolari.
E proprio Tantillo mercoledì sera potrebbe avere impugnato una delle armi che ha fatto fuoco in piazza. Le immagini di una telecamera che si trova nella zona lo avrebbero infatti immortalato mentre impugnava un fucile. Con lui si trovava un altro uomo. Entrambi avrebbero fatto fuoco verso l’abitazione di Francesco Russo, al primo piano di una palazzina. Quest’ultimo, arrestato nel 2008 per associazione mafiosa e tentata estorsione aggravata, sarebbe stata la terza persona a sparare, con una pistola. Le indagini si concentrano quindi su due personaggi di spicco del quartiere. I residenti della zona hanno raccontato alla polizia di non avere sentito niente per la presenza dei vetri camera negli appartamenti. Altri non si sono accorti di nulla perché “i bambini giocavano col pallone”. E i più anziani, hanno detto di trovarsi già a letto, in un sonno profondo. Ancora una volta, al Borgo, la verità sembra essere inghiottita da un buco nero.
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07 Marzo 2015, 17:08