Borse, rimbalzo abortito

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17 Novembre 2008, 18:23

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Materie prime: il G20 e l’oro
In vista del G 20 del fine settimana, poi conclusosi con un prevedibile nulla di fatto, erano circolate voci di un ritorno al gold standard, cioè a un sistema valutario internazionale basato sull’oro. Come noto si tratterebbe di cosa sacrosanta secondo me, ma proprio per questo è sicuro che mai e poi mai chi comanda procederà in questa direzione. Innanzitutto perché perderebbe lo strumento principale del potere (quello di stampare moneta e debiti a piacimento); ed inoltre perché l’oro esistente oggi è ben poca cosa rispetto alle centinaia di trilioni di debiti esistenti nell’intero sistema finanziario globale. Appare evidente come tutte le politiche inflazionistiche concertate, andrebbero a farsi benedire in un austero sistema basato sull’oro, e questo anche se l’oro venisse rivalutato a livelli stratosferici, perché ciò che conta è il ritmo di aumento successivo. E’ altrettanto certo, comunque, che le distorsioni dei prezzi generate dal sistema cartaceo attuale, e che hanno portato alla situazione sotto agli occhi di tutti, proseguiranno.
Il metallo giallo quindi, dopo aver iniziato questa settimana al ribasso in scia alle borse, ha fatto meglio di queste ultime e si è fermato a 700,  un minimo superiore la precedente scivolata; il che, insieme alle sopramenzionate voci, gli ha consentito di recuperare fino a 750 e di risultare la miglior materia prima: il petrolio è sceso, l’argento anche, il rame è restato fermo. In particolare l’oro è ormai arrivato a quotare 13 volte il petrolio che dal canto suo ha invece fatto nuovi minimi a 55, in coerenza con l’accentuarsi del focus recessivo e l’andamento negativo dei mercati azionari. 
Si conclude con : petrolio a 57,6(gennaio) gas naturale a 6,47(gennaio) oro a 742(dicembre) argento a 9,5(dicembre) platino a 845(gennaio) palladio a 217(dicembre) rame a 171(marzo).

Cambi: domina l’avversione per il rischio
Borse, rendimenti e petrolio giù, pertanto dollaro si. Ma l’aumento è risultato contrastato e limitato a mezzo punto percentuale per l’indice generale che conclude a 86,4. Il dollaro infatti ha perso oltre l’1% con lo yen che è  come da copione il vincitore della settimana visto il riacutizzarsi dell’avversione per il rischio, cui fanno da contraltare puntualmente le  perdite (6-4%)per le valute di Nuova Zelanda, Inghilterra, Sud Corea, Australia e Canada, mentre perdite intorno al 5% hanno messo a segno anche Indonesia e Turchia, oltre alla solita Islanda.
La settimana si è chiusa con un ulteriore dimostrazione di come sia l’avversione per il rischio il driver primario del mercato valutario. Il dollaro è infatti salito, risentendo della debolezza della borsa, nonostante il pessimo dato sulle vendite al dettaglio americane, il cui indice è sceso a livelli mai visti da quando esiste (dal 1992) per il quarto mese consecutivo, e le previsioni sono ovviamente per ulteriori futuri cali. Il crollo dei prezzi dei beni importati , che risentono a loro volta del crollo dei prezzi delle materie prime, e le dichiarazioni del capo della FED, secondo il quale sono ben probabili ulteriori tagli dei tassi d’interesse, hanno portato al 100% le probabilità quotate dal mercato circa un taglio da mezzo punto il 16 dicembre.
Anche sul fronte europeo sono arrivati dati negativi superiori alle attese che, in uno alle borse in netto calo, hanno colpito la valuta europea. La Germania non solo è entrata ufficialmente in recessione con due trimestri consecutivi negativi, ma ha anche accusato nel terzo trimestre una secca contrazione pari a mezzo punto percentuale del PIL.
Un eventuale recupero dell’euro sul dollaro dipenderà quindi solo da un miglioramento delle condizioni dei mercati finanziari: come tutte le valute (dallo yen al neozelandese) euro e dollaro si trovano inestricabilmente legate agli sviluppi sul fronte dell’avversione per il rischio. Non c’è dubbio che finora infatti le anomali fluttuazioni dei cambi sono state guidate dalla reazione delle borse agli eventi rischiosi, e così continuerà ad essere nel prossimo futuro. Se le borse continueranno a scendere, anche se i dati sono negativi per il dollaro, quest’ultimo continuerà a essere comprato e viceversa. In settimana ad esempio il dollaro non ha risentito dei deficit gemelli americani, entrambi molto negativi, anche quello estero perché se pur è un po’ sceso resta sempre enorme(56 miliardi mensili) considerato che l’economia è in recessione.
L’eurodollaro comunque  per il momento è nel range segnalato la scorsa nota, con un tentativo al ribasso fermatosi poco sotto 1,24 mentre al rialzo è stato respinto sopra 1,28, finendo per oscillare in area 1,2650. Lo yen pur essendo stato il vincitore della settimana è rimasto sotto i recenti massimi del 24 ottobre. Da notare infine che la Russia potrebbe svalutare il rublo, dopo aver visto ridurre velocemente le sue riserve valutarie, a causa del crollo dei prezzi energetici e della fuga di capitali che ha colpito il paese. 10 anni fa la svalutazione fu del 70%, ma c’era stato un default sul debito di 40 miliardi; oggi le riserve pur essendo scese del 20% in 2 mesi sono pur sempre a quota 480 miliardi di dollari.

Obbligazioni: domina la recessione
Negli Usa  i futures sul tasso a tre mesi scadenza dicembre 2009 quotano il 2,35% (-10 cts. rispetto a 7 giorni fa), il libor a tre mesi è   sceso al 2,23%(-6 cts.) ma è salito  ad un anno al 2,9%(+10 cts.); i bot a 3 mesi  allo 0,13%(-15 cts.). I rendimenti dei bonds  a 2 anni  a 1,21%(-12 cts.); a 5 anni al 2,31%(-25 cts.); il decennale al 3,72% (-6 cts); a 30 anni al 4,21%(-6 cts.).    
L’interbancario quindi  ha rimostrato qualche tensione, in un contesto in cui i  rendimenti obbligazionari hanno continuato al ribasso su tutte le scadenze, dimostrando che  il focus è sempre più recessivo – per cui si amplia   il differenziale tra 2 e 10 anni  a 251 (+6 cts). Scendono  anche  i tassi sui mutui a tasso fisso trentennali (-26 cts.  al 6,14%) e quindicennali(-7 cts. al 5,81%) ma salgono quelli a tasso variabile ad un anno (+8 cts. al 5,33%). Salgono  i differenziali dei titoli ipotecari rispetto ai titoli di stato (+181 cts. sul decennale). Per i differenziali dei titoli delle imprese  scendono a +198 cts.  quelli delle primarie,  salgono a +989 cts.  quelli delle aziende considerate a maggior rischio.
Scende lievemente il rendimento del decennale giapponese (1,49%),  mentre sono rimasti fermi i rendimenti sugli obbligazionari dei paesi emergenti, con i bond brasiliani(+1 cts.) al 8,14%  sul decennale (messicani fermi al 7,62%.).
In Europa  i  tassi euribor  hanno dato  segnali di miglioramento:  ad un mese al 3,87%(-26 cts.) a tre mesi al 4,28%(-25 cts.) ad un anno  al 4,41%(-19 cts.). I rendimenti sui bund tedeschi  in ulteriore calo sui 2 anni al 2,22%(-19 cts.)  e solo -1 cts. sul decennale (3,67%): si amplia quindi il differenziale tra 2 e 10 anni (+145 cts.) confermando il focus recessivo ed il venir meno delle paure inflazionistiche; il differenziale con i bonds Usa sale  a -5 cts. per il bund sul decennale, ma scende sulla scadenza a due anni (+101 cts.)  a favore del bound. I Btp questa settimana hanno perso terreno rispetto ai Bund, con lo spread fra i rendimenti dei decennali Btp e Bund sopra 100 cts., anche se poi nel finale è tornato sotto.

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Borse: rimbalzo abortito
I  160 punti di rialzo dello sp500 di una settimana fa, hanno iniziato a  sgretolarsi già lunedì nonostante l’annunzio della manovra cinese, per poi abortire miseramente, fino a fare un nuovo minimo giovedì tra il record dei sussidi ai disoccupati che hanno superato quota 500 mila per la prima volta dal 2001, ed il deficit mostruoso del bilancio statale quadruplicatosi ad ottobre rispetto al precedente record. L’ennesimo rimbalzo isterico(+10% in tre ore) che ne è seguito non ha fatto altro che confermare lo stato di malattia profonda in cui versa il mercato azionario, ed infatti venerdì la metà del medesimo è di nuovo sparita nell’ora finale.
I conteggi elliottiani entrano in difficoltà in una situazione simile: per la precisione è dal massimo agostano a 1313 che la prevedibilità teorica fin lì esistita è andata sfumando insieme con le regole del sistema capitalistico. Il fallimento della lehman il 15 settembre ha fatto sì che la fine del ciclo ribassista a 1134, seguito dal famoso rally a 1265 in 24 ore sull’annuncio del piano Paulson, non avesse luogo. Ed è invece cominciato un periodo di convulsioni isteriche in un contesto di grande ribasso tuttora in corso. Ricordo che l’incremento del libor e la controversa approvazione del piano Paulson hanno aggravato drammaticamente la situazione dando luogo al peggior ottobre della storia del mercato, e negli ultimi due mesi la volatilità è restata a livelli record mai visti finora da quando esistono questi indicatori, visibile a occhio nudo con balzi o crolli del 5-10% in poche ore.
Aggiornando i conteggi, l’intero ribasso iniziato ad agosto a 1313 è adesso arrivato ad essere di quasi 500 punti con il minimo a 819 di questa settimana. Ora il prossimo supporto è nella fascia che va da 789 a 768. Fra questi due livelli passano infatti una gran quantità di sostegni teorici. Se si dovesse bucare anche questa area se ne riparla poi intorno a quota 700. Comunque nel breve il primo supporto è a 848 e poi ovviamente a 819; per confortare invece un ipotesi di rialzo occorre superare 912 e poi 935. Ma con un mercato che  venerdì nell’ultima ora è stato in grado di perdersi 44 punti da 917 a 873, parlare di livelli tecnici lascia il tempo che trova. Ciò nonostante sembra che la borsa sia nella quinta onda del ribasso dopo aver terminato la quarta a  1008. Se è giusto, allora la prima sottoonda di questa quinta onda  è finita a 900 la seconda a 952  la terza a 819 la quarta a 917 e la quinta adesso in corso dovrebbe appunto spingersi fino alla fascia di supporto sopra indicata (o almeno a 809 se fosse pari alla prima).
Un conteggio alternativo , si basa sull’idea che ci si trova in una ampia fascia di oscillazione che dura già da oltre un mese e che potrebbe estendersi per qualche altra settimana, prima che si faccia il minimo finale di questo ciclo ribassista. Insomma è molto poco probabile che 819 a questo punto risulti il vero minimo. In ogni caso è assolutamente sconsigliabile al momento provare a fare qualsiasi cosa. Non resta che aspettare con pazienza che si venga a determinare una situazione meno confusa, augurandosi che prima o poi un rimbalzo significativo del 30-40% abbia luogo(fino area 1100) così consentendo di potersi rimettere in vendita con ragionevole tranquillità. Di comprare non se ne parla, anche se continuo ad aspettarmi  questo bendetto rimbalzo, perchè il trend di lungo periodo è al ribasso, e operare contro al trend è molto rischioso.
Si conclude con Dow a 8497 -5% ( -36% da inizio anno) SP500 a 873 -6%(-41%) Nasdaq100 a 1180 -7%(-43%)Russell -10%(-40%) Trasporti -4,7%( -24%) utilities -1% (-32%) semiconduttori -10% ( -51%) Broker -14%( -65%) Banche -10%( -45%).Il rapporto tra put e call sale sopra a 1 ma fa peggio  l’indice della volatilità VIX che salta a 66.
Il Nikkey giapponese  a 8462 -1,5%(-45% da inizio anno),  il Dax a 4710 -4,6%(-42%)  il cac francese a 3291, il footsie inglese a 4233, spmib a 20831 e mibtel a 16170 (-45% da inizio anno, lancette dell’orologio borsistico nostrano – in termini nominali-  indietro di 12 anni: chi lo avesse comprato nel 1996 e se lo fosse tenuto sperando nel “lungo termine”, oggi si ritrova con lo stesso nominale e con un valore reale che è circa un quarto). Tra gli emergenti: Brasile -2,3%(-44%) Russia -15% (-72%) India -4%(-54%) Cina +13%(-62%).

Previsioni: reazione al g20
Come reagiranno i mercati alla grande presa in giro del  g20? secondo me male, ma non si può escludere ovviamente che vi sia un tentativo di “festa”. Più probabile però che già da domenica notte borse,materie prime e rendimenti vadano giù con dollaro e yen su. I dati economici in arrivo non potranno che continuare a mostrare la contrazione economica in corso: lunedì uscirà la produzione industriale USA, martedì i prezzi alla produzione e l’indice dell’edilizia, ma ci sarà anche un ennesima testimonianza di Bernanke davanti al senato. Mercoledì sarà il turno dei prezzi al consumo, e dei verbali dell’ultima riunione della Fed. Giovedì sussidi ai disoccupati e Philly FED. Il dato più importante è quello relativo ai prezzi al consumo attesi in calo dello 0,8% a ottobre, che sarebbe il calo mensile maggiore dal dopoguerra, mentre l’inflazione su base annua scenderebbe al 4,1% che resta sempre un livello molto elevato se si considera che i tassi di interesse ufficiali sono all’1% (quindi -3% in termini reali). I verbali della Fed dovrebbero sottolineare i rischi recessivi, mostrando ottimismo sull’inflazione futura, per cui dovrebbero confermare le attese di un altro taglio dei tassi a metà settembre.

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17 Novembre 2008, 18:23

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