11 Maggio 2016, 14:08
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CALTANISSETTA – “Mi hanno fatto sputare sangue… mi hanno massacrato nella barberia di Pianosa… mi hanno massacrato come un cane”. Vincenzo Scarantino, il falso pentito, è seduto di fronte a Mario Bo, il poliziotto che faceva parte del Gruppo investigativo per le stragi di Capaci e via D’Amelio. Furono quei pestaggi, dice Scarantino, a spingerlo ad autoaccusarsi dell’eccidio di via D’Amelio.
Nessuna marcia indietro, stavolta. Il picciotto della Guadagna, sulle cui bugie si sono costruiti processi e condanne, conferma tutto, anche la ‘visita’ ricevuta in un paesino ligure. Il 26 luglio del ’95 il collaboratore di giustizia ritrattò le sue dichiarazioni in un’intervista a Studio Aperto. Bo e un altro poliziotto, Giuseppe Di Gangi, lo andarono a trovare a San Bartolomeo al Mare. Addirittura gli avrebbero infilato una pistola in bocca, prima di picchiarlo. “Neanche i mafiosi sarebbero stati capaci di fare questo – racconta ora Scarantino -. I miei bambini erano terrorizzati. Non hanno avuto russura na facci (rossore in faccia, ndr). Non ho alzato una mano. Se alzavo le mani io…”.
Perché sarebbe avvenuto tutto questo? ”Vedo Mario Bo che parlava con la mia ex moglie, con autorità, come se fosse sua sorella, con le mani in faccia, gli detto come ti permetti, devi uscire fuori…. volevo andare da Petralia (il magistrato Carmelo Petralia, ndr) perché non ce la facevo più… gli ho detto a Petralia che volevo denunciare Bo… e quelli che mi hanno massacrato a Pianosa. quando sono uscito pesavo 58 chili…. prima ne pesavo 110… hanno fatto terrorismo psicologico… questi poliziotti e quelli di Pianosa… mi hanno fatto sputare sangue… mi hanno massacrato come un cane…”.
Bo lo ascolta in silenzio. A volte scuote la testa in segno di disapprovazione. Altre volte ha un sorriso di scherno: “Contesto tutto. Quello che dice è inverosimile. Scarantino entrò in casa con furia animalesca, per aggredirmi. Meno male che il mio collaboratore riuscì a trattenerlo. Abbiamo ricevuto dei colpi”.
Il colpo di scena arriva alla fine del confronto, quando il picciotto della Guadagna racconta che Mario Bo “mi disse di autoaccusarmi del delitto di Agostino”. Si tratta dell’assassinio, ancora avvolto dal mistero, dell’agente Nino Agostino e della moglie Ida Castelluccio, a Villagrazia di Carini. Era il 5 agosto del 1989.
Un paio di anni fa il padre Antonino Agostino, Vincenzo, disse che nel tentativo di rintracciare il misterioso “faccia da Mostro”, poi identificato in Giovanni Aiello, l’ex agente di polizia vicino ai Servizi segreti, nel 1990 Arnaldo La Barbera, allora capo della Mobile e coordinatore del Gruppo Falcone e Borsellino, gli mostrò alcune fotografie. Solo dopo la strage di via D’Amelio, quando il volto di Scarantino divenne pubblicò, capì che una di queste ritraeva il pentito. Sul punto Bo taglia corto: “Un elemento per una nuova calunnia”. E Scarantino sbotta: “Che c… non mi minacci con questa calunnia”. Il clima si fa teso. Il presidente della Corte d’assise, Antonio Balsamo, lo richiama e poi gli chiede se della faccenda Agostino ha parlato con altri. Mistero su mistero: “Abbiamo avuto qualche dialogo con il dottor La Barbera Arnaldo”. E poi? “Mi ricordo che ne ho parlato con una persona, non la voglio coinvolgere… è stata una cosa che ho detto due anni fa… lo potrei dire con chi ho parlato… mi riservo… se vuole spuntare da solo spunterà…”.
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11 Maggio 2016, 14:08