20 Settembre 2019, 11:58
2 min di lettura
PALERMO – “Il capo dei capi era Totò Riina. Un capo che ci teneva ad affermare il suo potere su tutti gli altri capi”. Lo ha detto il sostituto procuratore generale Carlo Lenzi nel corso della requisitoria del processo Borsellino Quater, ripresa questa mattina davanti alla Corte d’Assise d’Appello di Caltanissetta. Sul banco degli imputati i boss palermitani Salvatore Madonia e Vittorio Tutino, condannati in primo grado all’ergastolo per la strage di via d’Amelio a Palermo, e i falsi pentiti Francesco Andriotta, Calogero Pulci e Vincenzo Scarantino. I primi due sono stati condannati a 10 anni per calunnia. Reato prescritto per il terzo che, come riconosce la sentenza di primo grado, è stato “indotto a mentire”.
“È assolutamente illogico e inammissibile – ha continuato Lenzi – pensare che una decisione del genere, e cioè di eliminare Falcone e Borsellino, non fosse maturata nell’ambito di una riunione con tutti i vertici. Se è vero che in quella riunione fu presa la decisione, non è pensabile che Madonia fosse assente. I Madonia non erano capi mandamento lontani da Totò Riina. È credibile che la famiglia Madonia restasse fuori da una decisione così importante?”. I particolari di quella riunione sono stati raccontato dal pentito Giuffrè il quale “ci dice – ha sottolineato Lenzi – della presenza del Madonia e anche che a quella riunione parlò solo Madonia e gli altri tacquero. Si potrebbe dire che era una decisione di Riina e gli altri presero solo atto. Ma gli altri capi mandamento, con il loro silenzio, hanno avallato una decisione di Riina che tutti condividevano”.
“Riina – ha aggiunto il rappresentante dell’accusa – è l’uomo che ha scalato Cosa Nostra su un letto di cadaveri. Vi immaginate che Totò Riina si fa imporre una decisione del genere da qualcuno? Fantasticare su mandanti occulti, poteri forti non si può. Quello di cui si può parlare all’esito delle indagini sarà di concorrenti esterni”.(ANSA).
Pubblicato il
20 Settembre 2019, 11:58