31 Gennaio 2013, 22:40
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PALERMO – Paolo Borsellino venne ucciso a luglio del 1992 perché era un ostacolo alla trattativa che pezzi di Cosa nostra avevano avviato con lo Stato. La strage venne anticipata. Riina aveva l’esigenza di fare subito l’attentato anche a costo di sacrificare molte vite umane. C’é il patto tra la mafia e le istituzioni sullo sfondo dell’eccidio di via D’Amelio. E a disegnare il contesto della strage che costò la vita al giudice palermitano e agli agenti della sua scorta sono i pm di Caltanissetta che, oggi, hanno chiesto il rinvio a giudizio di due capimafia – Salvino Madonia e Vittorio Tutino – e di tre falsi pentiti, Vincenzo Scarantino, Salvatore Candura e Francesco Andriotta.
I boss sono accusati di strage, gli altri tre imputati, autori di un clamoroso depistaggio costato l’ergastolo a 7 innocenti, di calunnia aggravata. Una sorte processuale separata avrà, invece, il collaboratore di giustizia Gaspare Spatuzza che con le sue rivelazioni ha consentito ai magistrati di riscrivere la storia delle fasi preparatorie dell’attentato. Spatuzza ha chiesto l’abbreviato che è stato fissato al 15 febbraio. La sua posizione, probabilmente, verrà riunita a quella di un altro pentito, Fabio Tranchina. Incerto ancora il destino di Calogero Pulci, ex pentito poi espulso dal programma di protezione: anche per lui l’accusa è di calunnia. Per motivi di salute non ha potuto partecipare all’udienza e il gup David Salvucci ha deciso di riconvocarlo per l’8 febbraio, il giorno in cui dovrebbe decidere sulle richieste di rinvio a giudizio.
Molte le parti civili costituite: oltre ai familiari delle vittime della strage, Gaetano Murana e Gaetano Scotto, due dei sette condannati ingiustamente per l’eccidio, la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il ministero dell’Interno e quello della Giustizia, la Regione siciliana, il Comune di Palermo e il centro studi Pio La Torre. Nella lunga requisitoria dell’aggiunto Domenico Gozzo, intervenuto insieme ai colleghi Stefano Luciani e Gabriele Paci, e al procuratore Sergio Lari, non sono mancate stoccate a Massimo Ciancimino, teste dalle alterne vicende giudiziarie arrestato dai pm di Palermo per calunnia.
“E’ inattendibile – ha detto Gozzo – ha gestito le sue dichiarazioni centellinandole e dividendole in circa 100 interrogatori”. E “non ha mai voluto assumere la veste di collaboratore di giustizia per ben chiari motivi legati alla volontà di non consegnare i soldi illegittimamente accumulati dal padre”. Il 15 febbraio la decisione del gup e, probabilmente, un nuovo processo, mentre resta aperta l’inchiesta sui poliziotti Mario Bo, Vincenzo Ricciardi e Salvatore La Barbera che facevano parte del pool che coordinò l’inchiesta sulla strage. Sono indagati per avere indotto i “pentiti” a fare le false dichiarazioni sugli organizzatori e sugli esecutori dell’attentato.
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31 Gennaio 2013, 22:40