28 Aprile 2021, 06:00
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CATANIA – Non ha perso il vizio di finire nei guai Rosario Lombardo. Saro u Rossu, che alcuni pentiti indicano come ‘uomo d’onore di Cosa nostra’, è tra i 76 nomi che sono stati denunciati dai carabinieri per “indebita percezione del debito di cittadinanza” (reato speciale introdotto da una normativa del 2019). Ma non è il solo, anche due donne appartenenti al suo nucleo familiare sono finite nell’elenco dei destinatari del decreto di sequestro preventivo delle carte del reddito di cittadinanza, emesso dalla Procura di Catania ed eseguito dal comando provinciale dell’Arma dei Carabinieri di Catania. Lombardo, che al momento è ai domiciliari fuori dalla Sicilia per motivi di salute, nel suo curriculum ‘vanta’ diverse condanne definitive per mafia. Boss e manager della droga del clan Santapaola è rimasto coinvolto nei blitz Stella Polare e Ghost. E lo scorso anno è stato condannato in Appello nel processo Carthago 2. I carabinieri hanno scoperto che a casa sua, in viale Biagio Pecorino – dove scontava i domiciliari – si tenevano veri e propri summit mafiosi. Un lavoro certosino quello svolto dagli investigatori che sono riusciti a decriptare i messaggi che si scambiavano tramite cellulari citofono. Il nome in codice di Rosario Lombardo, forse per la sua stazza, era Gabibbo.
Ma non è finita, perché tra i percettori diretti e beneficiari indiretti (cioè attraverso un componente del nucleo familiare) vi sono ‘esponenti’ di tutti i clan della (fluida) mafia catanese e dell’hinterland etneo. Alcuni sono personaggi di un peso specifico non indifferente nello scacchiere di Cosa nostra catanese: Francesco Platania e Rosario Tripoto erano presenti al famoso summit del 2009 a Belpasso interrotto dai carabinieri. In quella villetta c’era il gotha dei Santapaola-Ercolano: il tavolo era stato convocato dal reggente dell’ala militare di Cosa nostra Santo La Causa, poi diventato pentito. Platania è stato un referente del gruppo di San Cristoforo, anche se La Causa lo ha posizionato nella squadra della Civita (quella di Carmelo ‘u suggi’ Puglisi). Rosario Tripoto era invece proveniente dalla storica roccaforte del quartiere Picanello di Carletto Campanella. A quel summit era presente anche Venerando Cristaldi, fratello di Salvatore, e considerato anche lui tra i vertici storici di Picanello. Tra i denunciati c’è una componente del suo nucleo familiare. Antonino Botta è invece il ‘padrone’ della villetta che ha ospitato il famoso vertice della cupola di Cosa nostra 12 anni fa.
È finito nell’indagine dei carabinieri Francesco Mirabile, padre dei due collaboratori di giustizia Paolo e Giuseppe e cognato di Nino ‘u pazzu’ Santapaola. Tra le denunciate c’è anche la moglie Rita Rapisarda, sorella della moglie del fratello del capomafia Nitto. Ed è nell’elenco dei 76 anche Carmelo Bonaventura (alias ‘u disperatu’) che in passato ha fatto parte del gruppo Ottantapalmi del boss Turi Amato (sposato con Grazia Santapaola, la cugina di Nitto). C’è anche la moglie dell’uomo d’onore di Cosa nostra Franco Amantea tra le destinatarie del decreto di sequestro preventivo. Un matrimonio di un certo livello mafioso: il boss di Paternò (coinvolto nel 2016 nel blitz del Ros Kronos) è sposato con Nicoletta Assinnata, figlia del padrino e alleato storico dei Santapaola. Chiude il capitolo Santapaola, Michele Riccardo Marsiglione, fratello dell’uomo d’onore Francesco.
Nella lista ci sono anche due esponenti del clan Mazzei, che vede come referente storico Santo ‘u carcagnusu’, battezzato ‘uomo d’onore’ per volere del boss Leoluca Bagarella in persona. Michele Isaia è finito nei guai qualche anno fa nell’ambito del blitz della Guardia di Finanza Nuova Famiglia. Angelo Mormina, invece, nel 2010 è stato coinvolto nel blitz Mala Tempora.
Tra i nomi della lista compare anche Carmelo Bonfiglio, ‘Melo u bassottu’, che nel 2006 è stato arrestato in un’operazione contro il clan fondato dal boss Salvatore Pillera (detto ‘Turi cachiti’). Anche la figlia di Rosario Pitarà, boss dei Cursoti Milanesi deceduto da qualche mese, è rimasta incastrata nella rete dei furbetti del reddito di cittadinanza.
Il clan Scalisi di Adrano non è rimasto fuori dall’indagine dei carabinieri. Tra i 76 c’è Francesco Coco, boss ‘autonomo’ dei referenti dei Laudani della città del triangolo della morte. Tra i beneficiari, in modo indiretto attraverso la moglie, del ‘sussidio’ anche Pietro Maccarrone (alias fantasma), boss che fino al suo arresto nel blitz Illegal Duty è stato considerato il reggente del clan Scalisi di Adrano. Denunciati anche i fratelli Giuseppe e Salvatore Chiaramonte, nipoti degli Scalisi (di sangue). Il papà, deceduto da poco, era quello che – secondo il blitz Terra Bruciata – stava organizzando l’attentato contro Alfio Santangelo. Rimanendo nella galassia del clan Santangelo-Taccuni, è rimasto coinvolto – anche in questo caso attraverso la moglie – Vincenzo Rosano. Il boss, qualche anno fa, ha ripudiato pubblicamente il figlio Valerio per la decisione di diventare pentito. La famiglia mafiosa ha affisso dei necrologi con la foto del giovane collaboratore di giustizia.
Tra i 76 denunciati venticinque sono già condannati per mafia, gli altri 51, di cui 46 donne, hanno ottenuto il beneficio omettendo di comunicare che nel proprio nucleo familiare c’era anche un congiunto condannato definitivamente per associazione mafiosa. Tra i ‘congiunti incriminati’ anche il cognato di Francesco Crisafulli (alias ‘Franco Marocco’) tra gli autori dell’omicidio di Salvatore Pappalardo commesso nel 1999. Le contestazioni – come ha spiegato il colonnello Piercarmine Sica – vanno da aprile 2019 a marzo 2021. Dalle indagini è emerso che l’importo complessivo finora riscosso indebitamente è di oltre 600.000 euro. La Procura etnea ha già contattato l’Inps per l’immediata revoca del Reddito di cittadinanza agli indagati.
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28 Aprile 2021, 06:00
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