18 Novembre 2014, 19:04
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PALERMO – Il silenzio degli uomini di Brancaccio. Se non è un record, poco ci manca. Davanti al giudice per le indagini preliminari Lorenzo Matassa, che ha firmato il loro arresto, scelgono tutti di avvalersi della facoltà di non rispondere. Dal presunto capo, Natale Bruno, a chi si sarebbe occupato di droga agli ordini del clan.
Gli arrestati del blitz Zefiro, messo a segno dalla Sezione criminalità organizzata della Squadra mobile di Palermo, convocati uno per uno per l’interrogatorio di garanzia hanno scelto il silenzio. Molto più espliciti, per la verità, lo erano stati nelle intercettazioni che sono confluite nell’ordinanza di custodia cautelare, chiesta dai pubblici ministeri Vittorio Teresi, Caterina Malagoli e Francesca Mazzocco ed Ennio Petrigni. Nel corso degli interrogatori qualcuno si è limitato a confermare, oltre alla propria identità, di avere un soprannome. Nulla di più.
“Al vostro buon cuore… a Natale e a Pasqua”, diceva Natale Bruno, dimostrando come i nuovi boss continuano ad imporre il pizzo. Nonostante la crisi economica degli imprenditori. Imprenditori che si presentavano spontaneamente nel magazzino di Bruno, in via Gaetano Di Pasquale, per mettersi a posto. Solo che nel frattempo i poliziotti avevano riempito il locale di microspie e telecamere. Ma è con la droga che il clan di Brancaccio ha fatto i soldi. Mafia, estorsioni e stupefacenti.
I poliziotti hanno registrato in diretta gli affari del clan nel feudo dei fratelli Graviano. Le microspie hanno consentito agli investigatori di ricostruire la mappa aggiornata del racket. Commercianti e imprenditori saranno presto convocati per confermare o smentire quanto rimasto impresso nei nastri magnetici. In quell’occasione i magistrati sperano di andare oltre il silenzio fin qui raccolto. Se gli arrestati, infatti, hanno la possibilità di avvalersi della facoltà di non rispondere, così non è per le vittime del pizzo. Che rischiano l’incriminazione per favoreggiamento aggravato.
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18 Novembre 2014, 19:04