14 Luglio 2018, 05:47
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CATANIA – “Amo l’onestà, odio gli sbirri”. Il tatuaggio di un uomo d’onore. Di un uomo d’onore ammazzato. Una delle quattro pallottole che hanno ucciso Raimondo Maugeri lo ha colpito proprio su quella frase, simbolo di una vita dedicata alla mafia. Era lui il “reuccio” del quartiere del Villaggio Sant’Agata di Catania. Il 3 luglio del 2009, 9 anni fa, è stato pedinato e crivellato di colpi. Il suo corpo è finito nel deposito di una ditta di demolizioni d’auto di via Gelso Bianco. Erano le 8.30 del mattino. Oggi c’è un cancello arrugginito in quel luogo che ha tracciato il solco di sangue della storia recente della mafia catanese. Il mensile S, da oggi in edicola, dedica uno speciale agli omicidi degli ultimi trent’anni.
La requisitoria della pm Lina Trovato nel processo Revenge 3, che vedeva alla sbarra Girolamo Ragonese, condannato in secondo grado all’ergastolo proprio perché indicato come il sicario che ha sparato quei quattro colpi di pistola contro il santapaoliano Raimondo Maugeri, rappresenta una delle fotografie più lucide e precise di quanto stava accadendo in quel momento storico in città. Era in atto una guerra, una guerra scatenata da Sebastiano Lo Giudice, u carateddu, contro la famiglia di Cosa nostra catanese.
In via Cairoli c’è una lapide. Tra poco ci sarà il decimo anniversario dell’uccisione del boss di San Giorgio Sebastiano Fichera. “Iannuzzu” è stato ucciso il 3 agosto 2008 forse per ordine del boss Biagio Sciuto (già condannato all’ergastolo in secondo grado) perché avrebbe tradito il gruppo mafioso di riferimento. O meglio si sarebbe intascato dei soldi senza spartirli con il clan Sciuto Tigna. A quel punto sarebbe stato deciso di dare una lezione al giovanissimo Ianu Fichera. Sebastiano Fichera è stato crivellato di colpi affiancato dai sicari mentre si trovava in sella al suo scooter. Gli investigatori della Squadra Mobile, dopo l’omicidio, hanno avuto un’intuizione decisiva: hanno piazzato una telecamera e una cimice al cimitero, sulla lapide di Iano Fichera. Le intercettazioni hanno mosso le indagini in una direzione precisa: verso i boss Biagio Sciuto e Giacomo Spalletta. Ma uno dei due vertici del clan Sciuto-Tigna aveva già una taglia sulla testa. Giacomo Spalletta il 14 agosto 2008 è stato ammazzato in via Santa Maria della Catena. La vendetta di Iano Lo Giudice. Non ha avuto remore la magistrata Lina Trovato a definire il boss dei Carateddi: “l’Isis della criminalità catanese”.
Quasi un déjà-vu: Catania da città vulcanica a città di sangue. Sangue come quello di centinaia, forse migliaia, di morti ammazzati. Alla fine degli anni ‘80 il rumore delle pallottole e delle sirene era diventato familiare. Negli anni ’90, invece, non lo ascoltava più nessuno. O forse si faceva finta di non sentirlo. La guerra di mafia ha mietuto molte vittime sull’asfalto. Non è servito sbattere in galera Nitto Santapaola nel 1993 per fermare la sete di sangue dei mafiosi. La mattanza non era e non è solo “cosa loro” ma è un fattaccio drammaticamente nostro. Perché molte volte i siciliani, e anche i catanesi, preferiscono girarsi dall’altra parte e dimenticare. Ma invece è necessario ricordare. E ripartire dalla storia. Anche quella della mafia più cruenta, dei killer che senza imbarazzo sparavano e uccidevano. Alcune volte senza nemmeno sapere perché.
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