17 Settembre 2010, 07:16
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Il boss Giovanni Brusca, uno degli esecutori materiali della strage di Capaci poi diventato collaboratore di giustizia, è indagato dalla Direzione distrettuale Antimafia di Palermo per riciclaggio, fittizia intestazione di beni e tentata estorsione aggravata. Avrebbe continuato a gestire i suoi affari dalla cella, grazie ai permessi, e non alla luce del sole.
I carabinieri del gruppo di Monreale hanno infatti eseguito una serie di perquisizioni domiciliari nelle province di Palermo, Roma, Milano, Chieti e Rovigo nell’ambito di un’inchiesta che coinvolge anche alcuni familiari e persone vicine al boss. L’indagine è scaturita da una serie di intercettazioni effettuate dagli investigatori nell’ambito della cattura del latitante Domenico Raccuglia che hanno fatto emergere la disponibilità, da parte della famiglia Brusca, di beni che non sono ancora stati individuati. Gli investigatori sarebbero alla ricerca del ”tesoro” accumulato illecitamente da Giovanni Brusca, che è tuttora sottoposto al programma di protezione, e dai suoi familiari.
Giovanni Brusca, capo del mandamento mafioso di San Giuseppe Jato, è stato arrestato il 20 maggio del 1996 mentre era latitante con la famiglia a Cannatello (Agrigento). Oltre che per la strage di Capaci nella quale persero la vita il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesco Morvillo e tre agenti di scorta, il boss e’ stato condannato come mandante del sequestro e dell’uccisione del piccolo Giuseppe Di Matteo, figlio del pentito Santino che insieme a Brusca era tra gli organizzatori dell’attentato a Falcone.
“Quale presidente della Commissione sui Programmi di Protezione, ho chiesto alla Direzione distrettuale antimafia una informativa dettagliata su quanto riportato dalle agenzie di stampa relativamente al collaboratore di giustizia Giovanni Brusca, ai fini della valutazione della sua posizione”. Lo fa sapere il sottosegretario all’Interno Alfredo Mantovano, in merito alla notizia che Brusca risulta indagato dalla Direzione distrettuale Antimafia di Palermo per riciclaggio, fittizia intestazione di beni e tentata estorsione aggravata. “In termini generali, e prescindendo dal caso specifico – aggiunge Mantovano – la consumazione di gravi reati dopo l’avvio della collaborazione impone la revoca del programma di protezione. Ricordo che una norma introdotta dalla legge 45/2001 impone a ogni collaboratore di giustizia che sottoscrive l’accordo che è alla base del programma di dichiarare i beni illecitamente percepiti di cui dispone, direttamente o indirettamente; tale impegno è stato assunto da Giovanni Brusca all’atto del rinnovo del suo programma, nel 2005”.
Un computer, una ventina di cd-rom, manoscritti, appunti con numeri e indirizzi telefonici stranieri e corrispondenza epistolare con una donna palermitana: è quanto le forze dell’ordine – secondo quanto si è appreso – hanno sequestrato nel corso della perquisizione della cella di Giovanni Brusca, nel penitenziario romano di Rebibbia. I carabinieri, su mandato della magistratura di Palermo, si sono presentati alle 4 della notte scorsa e hanno portato via molto materiale, mentre gli inquirenti stanno interrogando il pentito al quale sono contestati i reati di concorso in tentata estorsione, l’ intestazione di beni a prestanomi, e il riciclaggio. Fonti del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria precisano che i collaboratori di giustizia possono utilizzare computer in cella, senza però la connessione internet. Non più in regime di 41 bis da quando, appunto, è entrato nel programma dei ‘pentiti’, Brusca è sempre rimasto nel carcere di Rebibbia, in cella da solo, in un’area riservata del penitenziario adiacente a quella degli altri reparti. In questi anni – così come prevede la legge – ha goduto di numerosi permessi premio, di colloqui e della possibilità di telefonare dal carcere. Al momento – si apprende da fonti del Dap – non ci sarebbero motivi per un suo trasferimento da Rebibbia in un’altra struttura carceraria, a meno che gli inquirenti non lo chiedano o la commissione centrale per il programma di protezione non decida di revocargli lo status di pentito.
E’ terminato l’interrogatorio del collaboratore di giustizia Giovanni Brusca, sentito nel carcere di Rebibbia a Roma dai pm della dda di Palermo che lo indagano per riciclaggio, tentativo di estorsione e illecita intestazione di beni. I magistrati contestano al collaboratore di avere nascosto e gestito dal carcere un patrimonio non dichiarato allo Stato contrariamente a quanto prevede la legge del 2001 sui pentiti. Sui 188 mila euro trovati a casa della moglie Brusca ha detto che si trattava “dei risparmi di una vita”. L’ex boss ha poi parzialmente ammesso di avere intestato beni da lui definiti, però, di poco conto all’imprenditore Salvatore Sottile. La circostanza era emersa da una lettera scritta dall’ex capomafia al prestanome: nella missiva Brusca ammetteva di “avere omesso spudoratamente di riferire di quei beni ai giudici” e minacciava l’imprenditore per invitarlo ad obbedire. Mentre sugli investimenti che, secondo i pm, l’ex boss stava facendo tramite il cognato, il detenuto ha sostenuto che si trattava di “meri progetti”.
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17 Settembre 2010, 07:16