Caffè amaro per un bancario | Ok della Cassazione al licenziamento - Live Sicilia

Caffè amaro per un bancario | Ok della Cassazione al licenziamento

L'uomo, incurante della fila di quindici clienti in attesa, aveva lasciato la cassa aperta per andare in pausa caffé. I giudici del Palazzaccio hanno detto sì al licenziamento, confermando la decisione della Corte di Appello di Caltanissetta.

Confermata la sentenza d'appello
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ROMA – E’ un comportamento “negligente” quello del cassiere di banca che, incurante della fila di quindici clienti in attesa, lascia la cassa aperta per andare in pausa caffé. Per questo la Cassazione ha detto sì, in ultima istanza, al licenziamento di un dipendente del Credito Emiliano di Catania, confermando la decisione della Corte di Appello di Caltanissetta. La questione è stata sottoposta per due volte ai giudici del Palazzaccio. Nel 1998 il dipendente era stata licenziato perché si era rifiutato di effettuare un’operazione complessa richiesta da un cliente, e poi, a distanza di sei giorni, aveva lasciato la cassa aperta ed i soldi incustoditi, con una eccedenza di 500 mila lire, poiché era andato al bar senza aver prima registrato l’ultima operazione. Una prima volta era stato reintegrato dal giudice del lavoro e dalla Corte d’Appello di Catania. Ma nel 2008 la Suprema Corte aveva però spiegato che “la giusta causa di licenziamento di un cassiere di banca, affidatario di somme anche rilevanti, dev’essere apprezzata con riguardo non soltanto all’interesse patrimoniale della datrice di lavoro ma anche alla potenziale lesione dell’interesse pubblico alla sana e prudente gestione del credito”.

E con questa motivazione aveva rinviato il caso alla corte d’Appello di Caltanissetta, che nel 2010, ha dichiarato legittimo il licenziamento. Non è valsa, in difesa del cassiere, l’aver opposto che fosse una “prassi” aziendale che i dipendenti si allontanassero per un caffé “senza apposito permesso”, coprendosi a vicenda. Poiché – come hanno rilevato i giudici d’Appello dichiarando proporzionata la sanzione – “la concreta situazione avrebbe richiesto da parte del lavoratore maggiore sollecitudine”. Ora la Cassazione conferma il licenziamento e definisce “senza rilievo” l’esistenza della prassi aziendale invocata dal lavoratore, poiché non incide “sulla valutazione della negligenza della condotta” accertata in secondo grado.


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