07 Luglio 2024, 06:45
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PALERMO – C’è un pezzo di storia italiana nell’indagine “Mafia e appalti”. Una storia di miliardi di vecchie lire, di mafiosi e tangentisti, e di collusioni con potenti gruppi imprenditoriali.
L’inchiesta di Caltanissetta, che vede coinvolto l’ex pubblico ministero di Palermo Gioacchino Natoli, riporta indietro le lancette del tempo, fino all’inizio degli anni ’90. L’accusa ipotizza che Natoli, ma il vero istigatore sarebbe stato l’allora capo della procura palermitana Pietro Giammanco oggi deceduto, avrebbe insabbiato un’indagine partita da Massa Carrara.
Un’indagine che, qualora fosse stata alimentata, avrebbe arricchito il dossier “Mafia e appalti” a cui lavoravano i pm di Palermo e il generale del Ros Mario Mori, processato e assolto per la cosiddetta trattativa Stato-mafia.
Per anni il patto sporco è stato considerato come l’unica spiegazione di gran parte delle nefandezze repubblicane, la causa dell’accelerazione della strage di via D’Amelio. Paolo Borsellino si sarebbe accorto che lo Stato traccheggiava con Cosa Nostra e lo fecero saltare in aria. Un postulato, più che una ricostruzione, andato in frantumi al termine del processo.
L’attenzione (anche fra coloro che, stampa inclusa, hanno sposato acriticamente la teoria della Trattativa come atto di fede) e le indagini sono tornate a concentrarsi sul dossier “Mafia e appalti” che sarebbe stato colpevolmente trascurato (nella migliore delle ipotesi) o (nella peggiore) dolosamente insabbiato. Nel cambio di prospettiva ha inciso la forte critica dei figli di Borsellino nei confronti di chi ha sempre e solo parlato di Trattativa.
Ed ecco che le carte ingiallite dal tempo tornano di attualità. Il procuratore di Caltanissetta Salvatore De Luca, l’aggiunto Pasquale Pacifico e i sostituti Davide Spina e Claudia Pasciuti ipotizzano che Natoli avrebbe aiutato a eludere le indagini sui mafiosi Antonino Buscemi e Francesco Bonura, l’imprenditore ed ex presidente democristiano della provincia di Palermo Ernesto Di Fresco e i vertici del Gruppo Ferruzzi, e cioè gli imprenditori Raul Gardini, Lorenzo Panzavolta e Giovanni Bini.
Ricevute le carte da Massa-Carrara sulle infiltrazioni mafiose nelle cave toscane, a Palermo avrebbero avviato una “indagine apparente”. Avrebbero fatto finta di scavare. Insomma, una messinscena giudiziaria. Tutto inizia il 2 settembre 1991 quando il sostituto procuratore Augusto Lama invia una nota ai colleghi palermitani che già lavorano al dossier e hanno acceso i riflettori sulla Calcestruzzi Spa, colosso delle opere pubbliche controllato dal gruppo Ferruzzi-Gardini.
A Massa Carrara hanno scoperto il legame tra la mafia siciliana e il gruppo Ferruzzi, proprietario delle due società Sam e Imeg che controllano il 60% dei bacini marmiferi. All’inizio si parla di “elementi siciliani non ben definiti”.
L’amministratore delegato della Sam è l’ingegnere palermitano “Girolamo Cimino, coniugato con Buscemi Giuseppe Pia Maria, sorella di Buscemi Salvatore e di Buscemi Antonino. Costoro insieme al cognato Bonura Francesco sono gli attuali reggenti del mandamento mafioso Passo di Rigano-Uditore”.
Il vero affare di Gardini “non sarebbe tanto il controllo del commercio dei marmi in sé per sé quanto e soprattutto il cosiddetto processo di desolforazione, cioè l’abbattimento degli acidi nei processi di lavorazione industriale in cui è previsto l’uso di polvere di marmo. Il che consisterebbe l’uso diretto dello scarto, un affare di centinaia di miliardi”.
Le cose non vanno come previsto. “A seguito del recente terremoto al vertice della Ferruzzi che ha visto l’allontanamento di Gardini”, i siciliani fanno il colpo grosso e prendono il controllo delle cave.
I pm di Massa Carrara hanno raccolto “alcune informazioni riservate secondo cui al siluramento di Gardini non sarebbero state estranee, tra l’altro, anche alcune informazioni pervenuta alla Ferruzzi circa le indagini condotte da questo ufficio sui rapporti tra Gardini e i suoi uomini della Calcestruzzi Ravenna ed ambienti dell’edilizia e dell’attività estrattiva siciliana di provenienza mafiosa”.
Natoli, incaricato di occuparsi della nota e delle indagini, chiede l’archiviazione il 9 giugno 1992. Il 19 giugno 1992 il gip Renato Grillo accoglie la richiesta e chiude il caso.
Nella richiesta di Natoli, basate sulle indagini della finanza (anche l’allora comandante Stefano Screpanti è ora indagato), si legge che “gli esiti di tali investigazioni non hanno consentito però di accertare circostanze specifiche, singoli episodi o altri elementi di fatto che possano ricollegarsi ai fatti criminosi ipotizzati (associazione di tipo mafioso e riciclaggio di denaro sporco) e non invece a normali rapporti commerciali, legati alle partecipazioni e alle cointeressenze dalle suddette società ed altre note ed importanti società operanti nel settore mammifero o in altri a quello correlati”.
Ed ancora: “In particolare è risultato che i fratelli Buscemi Salvatore da Antonino in realtà hanno un ruolo di notevole spessore nel controllo delle due società ed anche della Calcestruzzi spa di Palermo e che queste società sono state in rapporti oltre che commerciali anche di scambio o di concambio di pacchetti azionari con la calcestruzzi Ravenna Spa di proprietà della nota famiglia Ferruzzi”.
Le cointeressenze sono indubbie, ma “le indagini, giova ripeterlo, non hanno comunque fornito spunti idonei a individuare singoli episodi costituenti fatti di reato”.
Natoli firma il provvedimento per smagnetizzare le bobine delle intercettazioni e distruggere i brogliacci (allora era praticamente una prassi per riciclare le bobine). L’ex pm sostiene che la frase “la distruzione dei brogliacci” sia stata aggiunta dopo il deposito dell’atto. Ed è per questo che la Procura di Caltanissetta lo accusa di calunnia per aver incolpato ingiustamente Damiano Galati, responsabile amministrativo del Centro Intercettazioni.
La smagnetizzazione però non è avvenuta. Il Gico di Caltanissetta ha recuperato le bobine trovate al palazzo di giustizia di Palermo e ha riascoltato tutte le intercettazioni.
L’ex pm di Massa-Carrara Augusto Lama è convinto che una maggiore attenzione agli esiti dell’indagine avrebbe consentito di avviare l’inchiesta sulla questione “Mafia-appalti” con qualche anno di anticipo.
Il gruppo Ferruzzi nel frattempo, insieme a Montediso, diviene un colosso da 20 mila miliardi di lire, 52 mila dipendenti e 200 stabilimenti in tutto il mondo. Sarà travolto da tangentopoli. Nel ’93 Gardini si suiciderà.
Borsellino cercava collegamenti con la mafia siciliana, ne aveva anche parlato con Antonio Di Pietro uno de pm del pool “mani pulite”. Borsellino non aveva, però, la delega per le indagini su Palermo che arrivò alle 7 del mattino del 19 luglio 1992 con una telefonata da parte di Giammanco. Qualche ora dopo Borsellino sarebbe saltato in aria in via D’Amelio.
Trent’anni dopo si torna a indagare su quella stagione. Il fattore tempo non aiuta e forse confonde. Difficile riannodare i fili, facile dare per scontate circostanze con il senno di poi e raggiungere conclusioni che allora probabilmente non erano così chiare. Di sicuro bisogna chiedersi perché tutto ciò si stia facendo trent’anni dopo.
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07 Luglio 2024, 06:45
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