Carissimo Papa Francesco, scusa per questo Tu forse inopportuno, a livello di forma. Ma ti vogliamo bene, tutti noi. E ci vuole proprio quel pronome, in rispetto e umiltà, per definire l’amore.
Ci hai sorpreso ancora una volta, ‘tornando alla Casa del Padre’: nelle parole dell’annuncio che evocano un ritorno c’è la dolcezza a cui ci aggrappiamo.
Hai chiuso gli occhi, nei giorni in cui si celebra la Resurrezione, quando ormai pensavamo che il peggio fosse passato. Allo stesso modo, eri uscito dalla tua stanza d’ospedale, quando, invece, i peggiori pronostici si addensavano ancora di più.
Carissimo Papa Francesco, sei stato un Santo Padre sorprendente, nel senso indimenticabile e splendido della parola, collocando al centro l’umanità, l’essere umani, la capacità di restare tali, in un tempo duro che considera la solidarietà uno sbaglio.
Spesso ti abbiamo trovato, grazie al tuo guizzo provvidenziale, da un’altra parte. I saluti ai fedeli ‘a sorpresa’, perfino nell’ora cupa della malattia. Le posture, grazie a Dio, poco protocollari. L’apparizione in poncho argentino e pantaloni, a San Pietro. La dignità sofferta della comune fragilità.
Sono appena pochissime citazioni di capitoli immensi, nel segno di un bene assoluto. Il tuo preambolo è stato la meraviglia di una luce vissuta, non soltanto promessa.
Forse volevi, a margine, dirci di non prenderci troppo sul serio. Se perfino un Papa, immancabilmente stretto alla radice della sua Missione, sceglie un profilo familiare, intervallato da lampi d’ironia, allora, anche chi si sente il padrone del suo piccolo mondo, può farlo. E respirare meglio.
Carissimo Papa Francesco, ti salutiamo con la tristezza nel cuore. Ma crediamo che tu sia in un altrove felice, con tutti quelli che amiamo, a sorridere del nostro stesso sgomento. Sei andato via nel frangente speranzoso in cui si celebra la Resurrezione dal dolore, come una firma, una dedica, una dimostrazione. L’ultima sorpresa ha il sapore inconfondibile della Verità.