11 Maggio 2017, 05:12
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CATANIA – Carmelo Navarria, lo spazzino dei Malpassotu e uno dei capi di Cosa nostra a Belpasso, faceva paura ai suoi stessi picciotti. La sua spietatezza criminale non aveva limiti nemmeno all’interno del suo stesso gruppo mafioso. Francesco Carmeci, uno dei pentiti che lo ha incastrato nell’ambito dell’inchiesta Araba Fenice 3, ancor prima di diventare collaboratore di giustizia aveva lasciato il comune etneo e si era trasferito a Brescia. Ha cambiato numero di telefono. Tutto perché avrebbe avuto paura per la sua incolumità. Avrebbe fiutato il pericolo. I carabinieri di Catania, nel 2015, seguivano in diretta queste fasi: le intercettazioni contenute nell’ordinanza firmata dal Gip Anna Maggiore sono la cartina di tornasole della freddezza e dell’efferatezza di Navarria, accusato anche dell’omicidio di Renato Caponnetto.
Francesco Carmeci decide di fare il salto del fosso a dicembre 2015 dopo l’arresto per l’estorsione ai danni della Lavica Marmi srl, accuse per cui è stato condannato in primo grado con il riconoscimento dell’articolo 8 (per l’attendibilità dei collaboratori di giustizia) da parte del Gup. La sentenza dello scorso novembre 2016 ha portato alla condanna degli altri imputati e di Carmelo Aldo Navarria.
Francesco Carmeci scappa da Belpasso nell’estate del 2015. “E’ stato accertato – scrive la Gip Anna Maggiore – che nella seconda metà del mese di agosto Carmeci si era allontanato rapidamente dalla Sicilia e dalla disamina delle conversazioni intercettate era emersa un’evidente preoccupazione per la propria incolumità con riferimento ad azioni di rappresaglia di Navarria. Infatti, quando il 20/11/15 è colpito dal provvedimento di fermo per l’estorsione aggravata ai danni dell’amministratore della “Lavica Marmi”, l’indagato risiedeva a Brescia”.
Quando Navarria capisce che Carmeci non è più a Belpasso avrebbe indagato sui motivi del suo allontanamento e ordinato ai suoi sodali di andare dai parenti di Francesco e di usare le maniere forti. In particolare in una conversazione afferma di fare “venire i vermi” alla cognata “e a suo marito anche”. “Navarria discuteva con Prezzavento e Bonaccorsi (altri due indagati, ndr) – scrive la giudice – dell’improvviso allontanamento dalla Sicilia di Carmeci con interruzione di ogni rapporto con gli affiliati avendo cambiato persino numero di telefono. In particolare Navarria si preoccupava dell’assenza di notizie del Carmeci e imponeva” ai suoi “picciotti” di fare visita alla cognata del fuggitivo “per scoprire dove si trovasse, non risparmiando minacce nei confronti della donna qualora avesse negato di avere notizie, perché non si potevano permettere di fare i furbi con loro”, si legge nell’ordinanza. Ma la “visita” dalla cognata non avrebbe avuto alcun effetto, perché la donna “riferiva di non avere notizie”.
Le prime dichiarazioni di Francesco Carmeci risalgono all’11 dicembre 2015. Nei verbali il pentito racconta di “aver vissuto gran parte della propria vita al di fuori da contesti di tipo criminale”. Carmeci avrebbe fatto ingresso nel gruppo dello spazzino per necessità attraverso Nino Bonaccorsi. Sarebbe finito nella corte mafiosa di Navarria “perché senza lavoro a causa di un infortunio ed impossibilitato a mantenere la propria famiglia”. Una scelta che avrebbe potuto costargli molto cara se non fosse fuggito. E se non fosse intervenuto lo Stato.
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11 Maggio 2017, 05:12