Caro Prof, la scuola è morta | Ma l’hai uccisa anche tu

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02 Maggio 2015, 18:27

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Caro Prof, tu che sei salito sulle barricate come un martire della Resistenza per opporti ai panzer della ‘Buona Scuola’; tu che l’ultima pagina di letteratura che hai letto è il testo de ‘La storia siamo noi’, che se ti parlano di Caproni pensi alle corna; tu che canticchi De Gregori (“siamo noi padri e figli, siamo noi Bella Ciao che partiamo”) e allunghi la nota sul ‘Bella Ciaoooo’ per acquisire un cipiglio eroico perfino sotto la doccia; tu che nulla hai imparato, eppure ti arroghi il diritto di dare voti e di esaminare i malcapitati che ti capitano sotto le grinfie; tu, proprio tu, hai mai portato a compimento un bell’esame di coscienza?

In quella trincea di ir-ri-nun-cia-bi-le libertà dove ti sei nascosto col fucilino della demagogia, tu che ti opponi a qualunque tipo di cambiamento nella pratica, pur invocando la rivoluzione in teoria, ti sei mai domandato se per caso non sia anche un po’ colpa tua? Te lo sei mai chiesto se questa scuola che cade a pezzi non sia anche figlia tua, del tuo pressappochismo, della tua ignoranza, della tua ignavia?

Caro Prof, se sei uno bravo puoi smettere di leggere e passare allo sport, alla politica, alla cronaca, oppure continuare e goderti il diario minimo del disastro. Se sei un professore degno di tale nome, saprai che Caproni (Giorgio) era un grande poeta, non una mandria, e magari avrai letto qualcosa in classe ai tuoi alunni. Saprai che buona parte dello sfacelo deriva dai tuoi colleghi incolti e superficiali, incapaci di stringere relazioni corrette con i piccoli uomini a loro affidati e di insegnare qualcosa. Forse non potrai dirlo, per la grande omertà di categoria che impone di non tradire nemmeno i colpevoli. Ma lo sai.

E ci sono – grazie a Dio – i professori bravi. Compongono una maggioranza silenziosa che sopporta quotidianamente il peso dell’impegno. Hanno studiato. Praticano il sacrificio. Sono indimenticabili.  E se devono protestare contro qualcosa – anche contro la ‘Buona Scuola – lo fanno in umiltà e coscienza, perché si sentono protagonisti di un servizio, non detentori di un potere di veto. Dunque, caro Prof che fai onore ai tuoi giorni non semplici, passa pure avanti. Questa invettiva non è per te.

Se, invece, sei un barricadero e basta, uno che riesce appena a soffiare un po’ di vento nelle vele della retorica, dovresti andare fino in fondo e riconoscerti, onestamente, come in uno specchio. La rivoluzione renziana applicata ai banchi sarà un obbrobrio – molti pensano di no -, però il punto dolente è altrove. La scuola non crollerà per colpa di Matteo, eletto nume vittorioso o pericolo pubblico numero uno, a seconda del pregiudizio di turno. E’ già stata devastata da te, che hai uno stipendio statale, che ti fregi del titolo di docente, ma che dovresti essere impegnato in una diversa attività piuttosto che ottenere licenza di macerie e distruzione.

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Ti abbiamo incontrato, quando eravamo studenti, Prof scarso. Non ti dimenticheremo, per tutta la bellezza che ci hai rubato. Ti incontriamo ancora nei resoconti arrabbiati che sgorgano dalle labbra dei più giovani. I ragazzi – nel segreto del loro cuore – si raccontano, svelano la disperazione di non essere né compresi, né illuminati. Non desidererebbero – mentre sono tra i banchi – altro che una guida, uno che sia maestro, uno che non rinunci alla gerarchia dei ruoli e che riesca a innestare uno spirito di vera libertà, nel reciproco rispetto, uno che apra un libro, ogni volta, per narrare una storia nuova e meravigliosa.

Poi, si imbattono in te. E si perdono. Tu hai l’arroganza di chi ha letto poco e vuole comandare lo stesso. Da bracciante che eri, sei diventato un soprastante della “Cultura”. Non sai leggere. Se ti vanti di sapere scrivere, se davvero scrivi, c’è da abbassare gli occhi per la vergogna. Ti piace attirare la facile ammirazione dei sottoposti. Se ne possiedi una, usi la tua erudizione come una fionda, per colpire. Resti rinchiuso nella torre d’avorio che ti rende una figurina sola, vogliosa di vendetta contro i più deboli.

Oppure sei il finto amico della giovinezza; permetti che ti si dia del tu, nelle assemblee giganteggi. Intanto che gli innocenti ti stanno a sentire, instilli il veleno del tuo ribellismo da quattro soldi. Suoni il piffero, perché credi di avere al tuo cospetto i poveri topolini di Hamelin, non anime in carne ed ossa. Sei nudo di ogni virtù. Immagini che la cattedra sia il luogo del tuo potere esclusivo, mai del servizio; da lì ti opponi a ogni balbettio di rinnovamento. Non ragioni e non ascolti. La tua esperienza di anni e anni si riassume in un dettato di fallimenti.

Ecco, caro Prof (scarso), volendo sintetizzare, questo sei: una perfetta antologia della sconfitta. Ora accusi il potere regnante di ogni delitto. Ma la scuola l’hai uccisa anche tu.

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02 Maggio 2015, 18:27

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