20 Gennaio 2018, 06:10
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PALERMO – Doveva o poteva essere una resa dei conti. Ma per molti dei dirigenti e militanti presenti, si è trattato di un “rito”, o poco più. La direzione del Pd non ha indicato una direzione. O, al massimo, è servita per prendere coscienza del fatto che ormai è troppo tardi. Tardi per entrare nel dibattito sulle liste. Tardi per evitare che i candidati vengano calati dall’alto. Tardi perché i cosiddetti “territori” possano dire la propria.
Una riunione inutile, o poco più, secondo molti dei presenti. Una sensazione acuita però più dalle assenze che dalla presenze. Un dato evidenziato ad esempio da Antonello Cracolici. “Non so – ha detto – se la direzione di stasera è inutile o è finta. Il tema non è se decide Renzi, ma che la proposta possa comunque arrivare dalla Sicilia. E ciò è possibile solo se tutti quanti siamo qua. E vorrei capire allora se certe assenze sono il segno che noi siamo qui solo a perdere tempo”. Il riferimento riguarda ovviamente il sottosegretario Davide Faraone che ieri non si è presentato alla direzione. “Ma nemmeno i suoi hanno osato ribattere a certe questioni sollevate qui”.
E tra le questioni, il “nodo Cardinale” che si innesta perfettamente nel canovaccio della direzione di ieri. Una direzione in cui è sembrata evidente una distanza tra i “noi” (i militanti e i dirigenti locali) e i “loro” cioè il partito nazionale e gli esponenti siciliani che stanno provando a “salvarsi” attraverso le interlocuzioni dirette con i big romani. Durissimi sul tema della candidatura della figlia del leader di Sicilia Futura, molti interventi. Come quello del segretario provinciale di Caltanissetta Giuseppe Gallè: “Così – ha detto – perdiamo lo spirito del renzismo così come ce lo hanno rappresentato. Sono segretario da dieci anni e un malumore così non si era mai visto. Se vogliono andare avanti, facciano pure. Ma oggi usano metodi che speravamo fossero ormai sepolti come certi accordi con partiti che ci hanno creato anche problemi. Dobbiamo dire no a candidature non condivise dai territori. Renzi in Sicilia ha suggeritori che danno consigli sbagliati”.
Molto critici anche i gelesi Lillo Speziale e Giuseppe Arancio. Ma significative, in questo caso, sono state le parole dello stesso Raciti: “Bisogna chiarire una volta per tutte – ha detto – non solo il nostro rapporto con gli alleati, ma anche il rapporto degli alleati con noi. Oscillare dalla considerazione che ‘il centrosinistra non esiste’ alla convinzioni di sentirsi parte di questo progetto è abbastanza incomprensibile. Attaccare la segreteria regionale per poi chiedere delle candidature sono il segno di una contraddizione che è emersa in modo evidente fin dall’insediamento dell’Ars. Non è un problema di nomi e cognomi – ha concluso Raciti – è un problema generale”. E in parte è vero. Ossia, è vero che sul nome di Daniela Cardinale, i mal di pancia nel partito sono tanti e forti. Ma è anche vero che ieri il Pd ha affrontato il tema assai scottante dei rapporti col partito nazionale, dopo il disastro delle Regionali che nessuno ha nascosto e in qualche imputato principalmente al protagonismo, poi svanito secondo molti Dem, di Leoluca Orlando. “Dobbiamo sincronizzare le lancette del pensiero con quelle della coerenza” ha incalzato il responsabile organizzativo Antonio Rubino. “Dobbiamo decidere – ha aggiunto – se essere un partito o una somma di cose che condividono un simbolo: dalla nostra risposta dipenderà il grado di credibilità che avremo nel dare un contributo alla formazione delle liste”.
Sembrano già lontanissimi, insomma, i tempi in cui tutti, nel Pd e anche fuori dal partito, si scoprivano renziani, rivendicavano la loro fedeltà “dalla prima ora” al segretario allora premier. Oggi il Pd siciliano rischia di completare una parabola di distacco dai vertici nazionali, in qualche modo già avvertita alle ultime Regionali e già alle amministrative di Palermo. Nel primo caso, con l’accettazione di un candidato indicato da chi non era nemmeno iscritto al Pd, nel secondo con la scelta addirittura di rinunciare al simbolo.
Resta così quella sensazione, anche alla fine della direzione, quando Raciti ha aperto alla possibilità di un “giro d’orizzonte” per vedere quali e quante disponibilità alle candidature ci siano da proporre ai tavoli romani, la sensazione cioè di una spaccatura evidente, di una distanza siderale tra “noi” e “loro”. Tra il Pd delle strade, delle province, e quello dei palazzi. “Ci siamo dimenticati forse che la ‘d’ di Pd significa ‘democratico’” ha denunciato il deputato regionale Arancio. Tutto quasi certamente si deciderà altrove. “Non vorrei – ha chiosato Speziale – che questa direzione sia inutile. E che quattro o cinque decidono da Roma. Se non siamo inutili, quanti di noi si sentiranno pronti a recitare il proprio ruolo? Così viene delegittimato il ruolo e la funzione stessa del partito. Questo è lo scontro. Non è Cardinale sì o no”. Come dire: chi farà campagna elettorale, se i candidati verranno imposti? “Oggi – ancora più netto è Cracolici – la posta in gioco è: ci sarà ancora il Pd che avevamo pensato di costruire?”.
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20 Gennaio 2018, 06:10