09 Maggio 2014, 18:01
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PALERMO – Prove contraddittorie, scarsa chiarezza degli elementi raccolti, dichiarazioni dei collaboratori contrastanti: è per questo che il boss Totò Riina è stato assolto, anche in appello, dall’omicidio del giornalista Mauro De Mauro, sequestrato e ucciso a Palermo a settembre del 1970. In cento pagine di motivazione, depositata oggi, la corte d’assise d’appello ha ripercorso il ragionamento seguito per confermare il verdetto di assoluzione espresso nei confronti del capomafia corleonese dai giudici di primo grado. Durissimo il giudizio del collegio sul pentito Francesco Di Carlo che, risentito in appello, smentì quanto detto davanti alla prima corte d’assise. Le sue dichiarazioni vengono definite “inattendibili perché illogiche, non costanti, non spontanee e contraddittorie”. Dopo avere esaminato l’imponente ricostruzione fatta dai primi giudici, la corte ritiene dunque sicuro il coinvolgimento di Cosa nostra nel delitto De Mauro, riconduce l’omicidio al gruppo che faceva capo al boss Stefano Bontate e individua il probabile movente nella scoperta da parte del giornalista di novità importanti sulla morte del presidente dell’Eni Enrico Mattei. Ma tutto ciò non basta per condannare Riina.
Per i giudici, infatti, è impossibile dire con certezza che la delibera dell’omicidio fu fatta dal triumvirato di Cosa nostra (composto da Tano Badalamenti, Stefano Bontate e Luciano Leggio) che Riina ne facesse parte in sostituzione di Leggio e che comunque il capomafia corleonese abbia dato seguito alla decisione del triumvirato stesso. La corte bolla come “generici” poi i documenti di Vito Ciancimino prodotti dal figlio Massimo. E comunque sostiene che il ruolo del “triumvirato” nell’omicidio non è descritto in modo univoco dai pentiti, ciò anche perchè si è trattato di un organismo di breve durata e con regole incerte.
La corte definisce “insormontabili” le contraddizioni nelle dichiarazioni di Di Carlo, che riconduce alla scoperta del golpe Borghese da parte di De Mauro il movente del delitto e definisce sospette le modalità in cui il pentito, a distanza di anni dalle prime rivelazioni, parla dell’omicidio. Inoltre, nella sentenza si ridimensiona molto il ruolo di Di Carlo in seno a Cosa nostra. Il collaboratore, già interrogato nel 2006, dopo avere scritto un libro, cambiò versione sul delitto e sostenne appunto che De Mauro era stato ucciso per il golpe Borghese su decisione di non meglio precisate entità romane che avrebbero incaricato Bontate e Riina. Quest’ultimo avrebbe dato ordine di sequestrare, interrogare e sopprimere il giornalista. Di Carlo avrebbe sentito il dialogo deliberativo dell’agguato tra Bontate e Riina. Al pg che gli chiese perchè avesse parlato solo dopo anni, il collaboratore rispose che nessuno prima gli aveva fatto domande specifiche sul punto. Una spiegazione che, per la corte d’assise d’appello che parla di motivazioni legate all’iniziativa economica della stesura del libro, non è affatto convincente.
(Fonte ANSA)
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09 Maggio 2014, 18:01