27 Settembre 2012, 11:54
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CATANIA – La Corte ricostruisce, con la sentenza emessa il 14 settembre dalla sezione giurisdizionale, ogni fase dell’operato di Gaetano Siciliano, accusato di “essersi appropriato della somma di 860mila euro, prelevandola -si legge nella sentenza di cui Livesicilia è venuta in possesso- in più occasioni, ad asserito titolo di acconto sui compensi, dai libretti di deposito delle società del gruppo Riela di cui aveva la disponibilità”.
Quest’appropriazione di quasi un milione di euro sarebbe avvenuta “senza la necessaria autorizzazione -recita il documento- dell’Agenzia del demanio e riportando le somme indicate in bilancio sotto la voce ‘servizi’, senza che dalla contabilità fosse possibile evincere con chiarezza la causale di tali prelievi”.
Gaetano Siciliano avrebbe stipulato “delle polizze assicurative a proprio favore, ponendo a carico delle predette società i relativi premi per un importo complessivo di 5.640 euro”. Nel 2007 Gaetano Siciliano è stato condannato a 2 anni di reclusione, pena sospesa, per peculato. Due anni dopo, nel 2009, la Corte d’Appello aveva confermato la sentenza di primo grado liquidando la somma di 100mila euro a favore dell’Agenzia del demanio a titolo di risarcimento del danno civile.
Nel novembre del 2011, dopo la conferma della Cassazione, l’Agenzia del demanio ha dato mandato all’avvocatura generale dello Stato per agire in sede civile e recuperare 865mila euro oltre a 20mila euro a titolo di risarcimento del danno morale. Siciliano, dal canto suo, ha incardinato cinque giudizi civili per contestare la quantificazione degli importi. A questo punto è intervenuta la procura della Corte dei Conti, grazie alla segnalazione della guardia di finanza che, dopo accurate indagini, ha ipotizzato l’esistenza di un danno all’immagine della pubblica amministrazione.
Secondo la ricostruzione della Corte, la condotta di Siciliano rappresenterebbe un “grave vulnus all’immagine della pubblica amministrazione”, causata dalla “gravità della fattispecie accertata in sede penale” e dalla “gravità della condotta accertata desumibile dalla consistenza dell’importo di cui Siciliano si era arbitrariamente appropriato”. La Procura della Corte ha puntato l’attenzione sulla “delicata” funzione che Siciliano rivestiva nella qualità di amministratore giudiziario di beni sequestrati alla mafia: su queste basi è stato stabilito, in via equitativa, il risarcimento di 100.000 euro.
Gaetano Siciliano, assistito dall’avvocato Salvatore Buscemi, ha contestato alla Procura la mancanza della prova dell’esistenza del danno all’immagine dell’Amministrazione. Secondo l’avvocato Buscemi non esisterebbero prove della diffusione mediatica della condanna per peculato di Siciliano, per questo secondo il legale non esisterebbe il danno all’immagine della pubblica amministrazione. “Perché nessuno ne ha parlato”, in pratica.
Di parere opposto la Corte dei Conti che è riuscita, grazie a un’accurata analisi degli elementi di diritto, a condannare Gaetano Siciliano al pagamento di 20mila euro per il danno all’immagine “in favore dell’agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata”.
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27 Settembre 2012, 11:54