07 Maggio 2024, 17:35
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PALERMO – Travolti da un’improvvisa ondata di liquami e gas provocata dal loro intervento per liberare la fognatura da un’ostruzione. È questa la ricostruzione che diventa, ora dopo ora, più certa sulle cause della strage di Casteldaccia.
Gli operai sono morti in un luogo dove non avrebbero dovuto trovarsi. Ad aprire l’impianto di sollevamento e ad autorizzare la manovra improvvida che poi avrebbe provocato la strage sarebbe stato un ingegnere dell’Amap.
L’Azienda nel 2022 ha aggiudicato un appalto da un milione di euro alla Tek Infrastrutture srl di San Cipirello per i servizi di autospurgo. Il 2 maggio serve un intervento lungo la strada statale 113 all’altezza dell’impianto di sollevamento di Casteldaccia.
L’intervento prevede la “disostruzione fognaria con ausilio di autospurgo all’altezza dell’impianto di sollevamento”. La Tek chiama in subappalto la Quadrifoglio Group di Partinico.
Gli operai il 6 maggio stanno lavorando sui tombini della sede stradale. Questo prevede l’intervento programmato dopo che i residenti hanno segnalato un odore nauseabondo. I lavoratori non riescono a fare lo spurgo, probabilmente perché i tombini sono bloccati.
A questo punto dovrebbero fermarsi visto che non sono autorizzati ad accedere nei locali dell’impianto di sollevamento. Ed invece lo fanno.
Chi ha dato il via libera? Il direttore dei lavori dell’Amap, l’ingegnere Gaetano Rotolo, che è anche responsabile della sicurezza, è stato interrogato a lungo dai pubblici ministeri di Termini Imerese e dai poliziotti della squadra mobile di Palermo.
Bisogna conoscere le comunicazioni avute con gli operai ma anche il ruolo dell’impresa che ha affidato il subappalto e della stessa Quadrifoglio (Epifanio Alsazia, responsabile della sicurezza, una delle cinque vittime era in società con un altro imprenditore Antonino Di Salvo).
Sta di fatto che gli operai entrano nei locali del primo livello dell’impianto. Con una sonda cercano di eliminare l’ostruzione che impedisce lo spurgo. Ed è ora che salta il tappo di liquami, detriti e soprattutto gas che inondano la vasca fino a quel momento asciutta.
Così emergerebbe anche dalle parole di Giovanni D’Aleo che dice: “Ho lavorato fino alle 10 nella vasca e tutto è filato liscio. Mi ha dato il cambio mio cugino Giuseppe Miraglia (una delle vittime della strage di Casteldaccia, ndr). Poi è successo qualcosa d’imprevisto”.
L’idrogeno solforato non dà scampo. Stordisce dopo pochi secondi gli operai che non hanno le mascherine antigas, perdono i sensi e precipitano nella vasca tre metri più sotto. Gli altri tre operai, tra cui un lavoratore interinale di Amap, tentato di salvare i colleghi. Due li seguono nel tragico destino, il terzo è in gravissime condizioni.
Giuseppe La Barbera, una delle vittime, aveva mansioni di accertatore. Doveva vigilare sulle transenne piazzate in strada. Non aveva altro compito operativo, ma non si è tirato indietro. Per recuperare i compagni precipitati nella vasca sono dovuti intervenire i sommozzatori dei vigili del fuoco.
Il prossimo passaggio dell’inchiesta saranno le autopsie che inizieranno giovedì. Diverse persone saranno iscritte nel registro degli indagati per omicidio plurimo. Per alcune sarà un atto dovuto per garantire la partecipazione difensiva agli atti irripetibili.
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07 Maggio 2024, 17:35