Catania l'assassinio di Elena: perizia seminfermità della madre

L’assassinio di Elena: c’è la perizia sulla seminfermità della madre

Ma al momento non se ne conosce il contenuto

CATANIA – È il momento della verità nel processo di appello a carico Martina Patti, la 26enne che il 12 luglio 2024 è stata condannata a 30 anni per l’omicidio della figlia Elena Del Pozzo. La piccola, di soli 5 anni, venne uccisa con un’arma da taglio nel giugno 2022 e seppellita in un campo vicino casa, a Mascalucia. La settimana prossima si conoscerà l’esito della perizia collegiale sulla capacità d’intendere e di volere dell’imputata.

La perizia è stata chiesta dal sostituto procuratore generale Agata Consoli e disposta dalla Corte d’assise d’appello catanese. Sul punto non si è opposta la difesa, che propende da tempo per la seminfermità mentale della propria assistita. Va specificato, tuttavia, che la procura generale ha chiesto la perizia proprio per il motivo opposto. La Procura chiede di fugare qualunque dubbio, dato che per l’accusa Martina Patti sarebbe stata capacissima d’intendere e di volere.

Le richieste della difesa

La donna è difesa dagli avvocati Tommaso Tamburino e Gabriele Celesti. I legali in aula avevano chiesto la nomina di periti provenienti da altri territori, dato lo sconcerto che il delitto ha avuto per l’opinione pubblica. La Corte ha designato uno psichiatra di Catania, Eugenio Aguglia, e uno psichiatra forense dell’Università di Bari, Roberto Catanesi. L’incarico era stato conferito il 26 maggio.

Ora i periti hanno depositato la propria relazione, anche se sulle loro valutazioni per il momento il riserbo è assoluto. Martedì 21 deporranno in aula. I nonni paterni e il padre della piccola vittima sono parte civile, assistiti dall’avvocato Barbara Ronsivalle.

Il racconto dell’imputata

A una scorsa udienza, Martina Patti aveva raccontato la sua versione. Ha confessato il delitto, aggiungendo che in quelle fasi fosse sua intenzione farla finita. È tornata ancora una volta a puntare l’indice contro il papà di Martina, anche se le sue accuse circa ipotetici maltrattamenti non hanno mai trovato riscontri. La giovane ha parlato di varie delusioni che l’avrebbero indotta alla decisione di uccidersi assieme a Elena.

Sta di fatto che le sue azioni poi furono ben diverse. È stata condannata in primo grado per omicidio premeditato aggravato, occultamento di cadavere e simulazione di reato. Le indagini sono state svolte dai carabinieri del comando provinciale di Catania. La donna avrebbe ucciso la piccola nel luogo del ritrovamento, un campo abbandonato vicino casa, e poi avrebbe finito il sequestro della bambina all’uscita dall’asilo.

L’accusa

Dopo l’omicidio, contesta l’accusa, Martina Patti è uscita nuovamente con l’auto, per creare un diversivo, quindi è tornata nell’abitazione. E’ in quel lasso di tempo che sarebbe stato commesso il delitto, in un terreno abbandonato dove la madre ha seppellito il corpicino, nascosto in cinque sacchi di plastica nera e semisotterrato con una pala e un piccone.

A quel punto la 26enne ha fatto scattare la messa in scena: ha avvisato per telefono del falso sequestro i genitori e il padre di Elena, il suo ex compagno Alessandro Del Pozzo, è tornata a casa e dopo, accompagnata dalla madre e dal padre, è andata dai carabinieri a denunciare il falso rapimento.

Le spiegazioni date nell’immediatezza

Ai militari dell’Arma aveva cercato di dare un senso all’ipotesi del sequestro. Lo aveva collegato ad alcune minacce che nel 2021 l’ex convivente aveva trovato davanti al cancello di casa, ma la sua versione non ha retto ai riscontri e alle indagini dei carabinieri e alle contestazioni mosse dalla Procura di Catania. Prima del processo, il 9 aprile scorso i legali della Patti hanno ricordato che per la difesa sussisterebbero troppi dubbi. Da qui le contestazioni che costituiscono alcune delle ragioni dell’appello.


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