03 Dicembre 2014, 15:18
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CATANIA – Erano prigionieri in un sottotetto di un’abitazione fatiscente al civico 60 di Di Prima. Lo avevano arredato di tutto punto per assicurare la permanenza di nove giovani somali, 8 addirittura appena adolescenti, lontani dagli occhi degli investigatori. Tutto inutile però perchè la Squadra Mobile ha fatto irruzione nell’edificio ubicato nel cuore del quartiere San Berillo di Catania, nell’ambito della retata Tokhla (sciacallo in italiano) che ha portato a disarticolare un’organizzazione dedita al traffico di esseri umani.
Rinchiusi in un soppalco, i giovanissimi migranti attendevano fiduciosi l’arrivo dei documenti che potessero far proseguire il loro viaggio della speranza verso il nord Europa. Stipati tra quattro mura, lontani da casa e dai genitori, in balia delle decisioni di chi aveva organizzato la loro traversata pericolossisima dalla Libia alla Sicilia. I somali prigionieri non sono arrivati al porto di Catania, ma provengono da diversi sbarchi: da Pozzallo e addirittura da Agrigento. “Questo dimostra – evidenzia il dirigente della Mobile Antonio Salvago – che Catania è una base logistica del network creato dall’organizzazione trasnazionale”. L’affittuario dell’immobile, Yemane Andemariam, è stato arrestato con l’accusa di sequestro di persona, oltre che di favoreggiamento all’immigrazione clandestina.
I giovani somali probabilmente finita la prigionia forzata sarebbero stati trasportati su alcune macchine o delle camionette che li avrebbero condotti nei paesi del Nord Europa dove li attendono parenti e amici che, forse, hanno affrontato lo stesso percorso.
Dalle intercettazioni della polizia giudiziaria emergono retroscena inquietanti. “Gli organizzatori delle traversate sono perfettamente consapevoli – evidenzia Nicolì dello Sco di Roma – dei rischi che corrono i migranti durante la navigazione”. Sanno di mandarli a morire ma questo non li ferma. Anzi sapendo che c’è un dispositivo internazionale che obbliga a soccorrere le persone in pericolo, “utilizzano questo stratagemma – afferma il Procuratore Giovanni Salvi – per poter fuggire indisturbati con la nave madre”. Ma quello che più sconvolge e che i migranti che pagano fior di quattrini a questi criminali, magari anche indebitandosi, sono altrettanto consapevoli che il mare potrebbe diventare la loro tomba. “Dalle intercettazioni emerge – aggiunge sempre il funzionario della Sco – che preferiscono correre il rischio del viaggio anzichè rimanere nei loro paesi dove incombe la guerra civile”. Insomma due strade con l’ombra della morte in agguato. Agli occhi di chi non ha scelta un barcone fatiscente è una nave carica di speranza. La speranza, una nuova merce per proventi illeciti.
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03 Dicembre 2014, 15:18