27 Luglio 2022, 13:04
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CATANIA – Andare a Roma con un seggio alla Camera o al Senato, oppure restare a Catania, sospeso per la seconda volta come sindaco, da un Prefetto, nell’attesa di tempi migliori?
Quando mancano una manciata di giorni all’ultima data per rassegnare le dimissioni da primo cittadino, Salvo Pogliese si confronta col suo peggiore incubo: poter essere considerato un “Enzo Bianco”. Non il Bianco sindaco della Primavera, il politico ex ministro, l’uomo con rapporti di rilievo internazionale. Ma l’”Enzo Bianco” additato e perseguitato da una parte della città, dal centrodestra e dalla destra “perché lasciò Catania e andò a Roma”. LEGGI ANCHE Pogliese, la data ultima per le dimissioni
Per uno scherzo del destino, Pogliese, dopo aver guidato il centrodestra alla vittoria nella sua Catania, è incappato in una sentenza di primo grado di condanna per i fondi gestiti ai tempi della sua permanenza all’assemblea siciliana. E lui, che del rigore morale ha fatto da sempre una battaglia, si trova ad essere sospeso dalla guida di una Catania che aveva “ricevuto” in dissesto e con parecchie ombre.
Solo che alla fine, quelle ombre lo hanno circondato. Pogliese è in una condizione terribile, con la fascia tricolore appesa al chiodo, leader di Fratelli d’Italia, ma soprattutto bersaglio del malumore della città, finita allo sbando. Una città con la quale ha perso il contatto, interrotto da qualche post su facebook e da un’apparizione, mentre Catania affogava tra i rifiuti, esule al summit di Fratelli d’Italia a Trecastagni, per parlare di “turismo”. Una città alla quale non ha mai spiegato, dall’arrivo della seconda sospensione, quali fossero le sue intenzioni, la sua strategia. Una città in balia di corvi e incivili, ma che ha bisogno di un sindaco. E lui era il sindaco che i catanesi avevano scelto.
Si consumano così i giorni della scelta, nei quali quella che per chiunque sarebbe una opportunità, andare in Parlamento, per Salvo Pogliese diventa un incubo.
Riecheggiano ancora le sue arringhe alle Ciminiere, con Antonio Tajani, nel 2018, in piena campagna elettorale per le amministrative di Catania, quando di Bianco diceva: “Lui iniziò la sua esperienza di sindaco di questa città trent’anni fa, nel 1988, per poi andarsene a Roma preferendo una sedia da ministro. Io faccio esattamente il contrario, e compio una precisa scelta d’amore per la mia città lasciando una comoda sedia da parlamentare europeo per occupare quella più scomoda da sindaco”.
Ed eccolo lì Salvo Pogliese, una vita in politica, un esercito di elettori, una disavventura, appunto la sentenza di condanna e un incubo. Guardarsi allo specchio col suo ammaliante sorriso, magari da inserire su un manifesto per le politiche e intravedere, anche solo come un fantasma, “Enzo Bianco”. Ecco perché Pogliese, alla fine, potrebbe non dimettersi e continuare a essere “sospeso”, senza il suo “gabbiano” porta fortuna, incatenato a una roccia come Prometeo, con un’aquila che si aggira affamata.
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27 Luglio 2022, 13:04