22 Luglio 2022, 05:51
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CATANIA – Poteva scatenarsi una guerra di droga e mafia. Il ricorso alle armi è stato evitato per un pelo. La primavera del 2019 è stata caldissima. Il figlio di Salvatore Battaglia, Antonino Sebastiano (conosciuto come Nino) del gruppo del Villaggio Sant’Agata della famiglia Santapaola-Ercolano ha avuto un violento scontro con i Cappello (in particolare con Concetto Bonaccorsi, Saro Ragonese, Maurizio Girone e Ninni Condorelli) per la “piazza di spaccio a Zia Lisa”.
Nelle carte del blitz Agorà – che ha permesso di decapitare la cupola di Cosa nostra etnea qualche settimana fa – sono finite le intercettazioni che documentano i momenti di tensione e i summit che si sono svolti all’officina di Salvatore Rinaldi, quartiere generale del clan. Battaglia jr ha imposto ai Cappello di togliersi dai piedi.
Concetto Bonaccorsi era aperto al dialogo, mentre Saro ‘u biondo Ragonese non avrebbe accettato il “divieto” ed era pronto a reagire. Nel mirino c’era Nino Battaglia. Rinaldi e gli altri boss del Villaggio Melo Renna e Luigi Ferrini, anche per “rispetto” riconosciuto al padre e allo zio Santo (vertice storico del Villaggio) hanno deciso di intervenire: non potevano rischiare di essere additati dal padre come quelli che “avete mandato al macello a mio figlio”.
Il giovane Battaglia però aveva intenzioni bellicose: “io come sposto da qua, ti do la mia parola d’onore… mi metto la nove per ventuno addosso… come io vedo al semaforo un motorino, un casco… lo piglio e lo accappottu”. Rinaldi però lo invitava alla calma. Alla fine c’è stato un confronto tra Nino Battaglia e Concetto Bonaccorsi detto u Carateddu (da non confondersi con lo zio pentito), alla presenza dei vertici di ‘peso’. “Ma scusa, ma noialtri come eravamo rimasti, Concetto? … . Dammi un paio di giorni che lo faccio spostare… là sono a casa mia… il Villaggio e zia Lisa è casa mia, ‘mbare… e allora visto che ci sono queste persone con i capelli bianchi, te lo dicono loro di chi è la zia Lisa”. Il boss dei Carateddi rispondeva a tono: “Mio compare… io estorsione qua non ne domando a nessuno”.
Alla fine però la questione non riusciva a risolversi, i Cappello si facevano forti del fatto che lo spaccio avveniva all’interno di una casa. E non per strada. Con Concetto Bonaccorsi, Rinaldi sarebbe riuscito a chiuderla (“io la discussione l’ho fatta l’altro ieri anche con u Carateddu per un’altra piazza… là è la mia casa”), restava aperta la questione con Saro u biondu Ragonese. Turi Millimachini gli inviava un messaggio: “digli a Saro che quando viene spiego la discussione anche a Saro… a me piace parlare con tutti quanti”.
La situazione rischiava di degenerare, anche perché Renna ad un certo punto segnalava che nei territori dei Cappello molti santapaoliani spacciavano da casa: “Si sono un sacco di amici nostri… ora ci stanno dicendo… abbiamo scoperto che là alla Fossa ci sono amici nostri, le loro mogli che vendono… ci hanno fatto i nomi”. A questo punto Rinaldi convocava un altro summit con i Cappello per arrivare a un’intesa: “È da dirgli: “senti, a casa si può lavorare perché ci stiamo informando e ci sta dicendo che a casa non vi possiamo dire niente! A casa! Non sul portone! … l’importante che non si mettono sulla strada a chiamare i cristiani”.
La riunione mafiosa è stata convocata. Rinaldi esordiva così: “per quello che ti ho detto l’altro ieri e mi sta rispondendo Michele (Schillaci, ndr), dice “‘mbare -dice- non è in questa maniera! -Dice- a casa, dentro casa sua -dice- lo puoi lasciare stare!”. Lo scontro sembrava archiviato. Appena i Cappello andavano via i Santapaoliani tiravano un sospiro di sollievo: “Anche questa volta ce l’abbiamo fatta”. La guerra era stata evitata.
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22 Luglio 2022, 05:51