12 Agosto 2018, 05:07
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CATANIA – Giustizia. Una parola che racchiude tante sfaccettature. Ma anche una parola che ingloba un intero mondo fatto di regole, leggi, oltre che uomini e donne. E tra queste c’è Maria Francesca Pricoco, presidente del Tribunale per i Minorenni di Catania, che ci ha fatto entrare in punta di piedi nel delicato e complesso mondo della Giustizia minorile. E non è un ruolo semplice il suo perché negli uffici giudiziari che hanno sede nel palazzo di via Franchetti arrivano i procedimenti di tutto il distretto giudiziario della Corte d’Appello di Catania che significa provincia etnea, iblea, aretusea e due comuni del messinese.
Nel suo ufficio ci sono le foto di tanti bambini. Sorrisi, occhi coinvolgenti, ragazzi di ogni etnia. Maria Francesca Pricoco è innamorata del suo lavoro. Da 31 anni è un magistrato. E quasi tutta la sua carriera l’ha rivolta alla Giustizia minorile. Una “Giustizia – dice – dedicata, pensata e strutturata per la tutela dei diritti delle persone di età minore. E che quindi ha anche una finalità e una funzione che riguarda la loro condizione di vita”. Un giustizia che ha un ruolo sociale, dunque. “Riguarda il futuro della stessa società che cresce con le persone che crescono”, afferma la presidente Pricoco.
Non si può parlare solo di repressione nel processo penale minorile. I giudici hanno il compito ‘superiore’ di andare oltre la responsabilità per il reato commesso dal minore. Hanno il dovere, sancito dalla legge, di conoscere la personalità del minorenne imputato. E questo vuol dire le sue condizioni affettive, relazionali e sociali. Perché il bene supremo è quello della educazione e del reinserimento sociale del minorenne. Un processo penale minorile, quello italiano, che è osservato con molto interesse dalle istituzioni giudiziarie internazionali. Ed è diventato “modello” per l’intera Europa. Ma accanto a questo avanzamento e affinamento giurisdizionale non c’è un parallelo investimento economico.
“Non c’è sufficiente attenzione alle necessità degli uffici minorili, in termini di risorse umane, materiali e informatiche”, spiega la Presidente. E con l’immigrazione la situazione a Catania non è certo migliorata. Anzi è drammatica. “L’immigrazione ha stravolto la nostra organizzazione interna ed esterna”, spiega. Poche risorse umane per un carico di migliaia di procedimenti. Basti pensare che nei porti di Pozzallo, Augusta e Catania dall’anno 2013 e fino ai primi mesi dell’anno in corso è arrivato il 40% dei minori non accompagnati del territorio nazionale. Ma qui in via Franchetti non ci si tira indietro. Ed è stato creato in tema di minori stranieri “un gruppo molto motivato, integrato con i giudici onorari soprattutto per l’ascolto di questi minori maggiormente vulnerabili”. E c’è un mondo collaterale al fenomeno dell’immigrazione minorile: dalle vittime di tratta al traffico di esseri umani “che ha determinato un costante coordinamento con la Procura distrettuale della Repubblica di Catania”.
“Il Tribunale per i Minorenni ha un ruolo attivo nella società – spiega la Presidente – perché oltre ad operare con lo strumento del diritto coltiva un continuo confronto con gli altri saperi, quali la pedagogia, la psicologia, la sociologia, la psichiatria. Il giudice, anche al fine della fondamentale opera di prevenzione della devianza, deve essere specializzato per acquisire una profonda conoscenza del minore, delle interazioni relazionali, delle dinamiche familiari”.
La Cassazione è chiara: ai bambini e agli adolescenti devono essere garantiti condizioni di vita adeguate per poter crescere in modo armonioso e quindi diventare adulti responsabili attraverso il riconoscimento dei loro diritti fondamentali: dal diritto all’educazione e all’istruzione, alla salute, alla cura delle relazioni familiari, alla protezione e salvaguardia da situazioni di pregiudizio o abbandono ed entro un termine ragionevole per il giudizio . “Il diritto all’amore non è un diritto astratto – afferma la Pricoco – ma è un diritto che il giudice può riconoscere dentro questi parametri”.
La famiglia ha delle responsabilità, ma anche la società e le istituzioni. Non può sfuggire il fatto che “la criminalità minorile è un effetto delle carenze educative e relazionali. I bambini non hanno solo diritti privati ma anche diritti sociali”.
La criminalità minorile a Catania? “Il nostro è un distretto dove il fenomeno della criminalità minorile è di alto livello, molti ragazzi della fascia di età tra i 14 e i 18 anni non completano gli studi e vivono in contesti familiari e sociali particolarmente difficoltosi”, argomenta.
E pensa a un’udienza appena svolta. Imputato è un adolescente che ha commesso diverse rapine. “Un giovanissimo con un vissuto molto difficile e un vuoto affettivo ed educativo non facilmente colmabile tale da determinare comportamenti di grave allarme sociale ma anche distruttivi della propria persona. E che lo ha portato a voler fuggire dalla realtà con l’uso ripetuto di sostanze stupefacenti pesanti”, racconta. “Il nostro distretto è carente di servizi essenziali per il ridotto numero degli operatori impiegati ”, dice la Presidente. Un sistema che così, inevitabilmente, è lontano dalle famiglie e dai quartieri cosiddetti difficili. E a fronte di queste carenze, molte volte il processo penale minorile può diventare un’opportunità per il giovane che commette un reato consentendogli di comprendere che può esserci un’altra strada, quella del rispetto della legge. “Il giudice attraverso la conoscenza della personalità del minorenne può quindi accertare se l’imputato ha acquisito consapevolezza della propria condotta e, nel corso del processo penale, può prospettare la possibilità di un suo effettivo cambiamento e metterlo alla prova. In questi casi – spiega la Presidente – quindi sospende il processo e cioè il giudizio sulla sua responsabilità penale. Il ragazzo dovrà seguire un progetto formulato dai servizi ministeriali e approvato dal giudice. E se il periodo di prova viene superato positivamente il reato accertato può addirittura essere dichiarato estinto con ciò sottolineandosi il fatto che, anche quando si commette un errore grave, se vi è la volontà di rimettersi in discussione e di cambiare la propria vita, la risposta di Giustizia non è la punizione ma il riconoscimento del cambiamento”.
Purtroppo in molti casi “la mancanza di risorse personali e sociali non consente di percorrere questa possibilità e di veder garantita nel lungo termine la fuori uscita del minore dalla devianza” con conseguente amarezza e senso di frustrazione. E la presidente Pricoco non lo nasconde: “In alcuni casi ci rendiamo conto che la fatica è vanificata, perché poi quando il minore torna a casa e nel suo quartiere ricade nel reato”. Ed allora per non rendere vano il lavoro della magistratura, occorre l’assunzione di mirate responsabilità da parte di tutte le Istituzioni. Perché ogni giovane che torna a delinquere significa sancire il fallimento di tutta la comunità che l’accoglie e di uno Stato, come il nostro, “improntato sui più alti principi e valori della persona, soprattutto se ancora minorenne”.
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12 Agosto 2018, 05:07