“Catania è una città senza futuro | Crocetta? Soggetto impresentabile”

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14 Agosto 2016, 05:17

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CATANIA. “Oggi sono nonno, padre e avvocato: che sono le mie collocazioni effettive che servono ad alimentare il futuro che mi resta ed il presente che cerco di vivere intensamente. Ma ho anche la fortuna di scrivere, grazie all’opportunità datami dall’editore de La Sicilia. E, poi, scrivo su I Vespri. Nel tempo libero, studio i processi e tutto ciò che attrae i miei interessi e la mia curiosità”.
Enzo Trantino resta quello che è sempre stato. Ovvero, anzitutto, un vulcano in eruzione permanente. E qui l’età non conta affatto.

Esattamente dieci anni fa, Lei lasciava la politica. Perlomeno, quella attiva. Le manca?
“E’ un felice anniversario per me. Perché lasciavo una politica che nulla ha a che fare con questa. Non che quella fosse la Repubblica di Platone: ma, almeno, era una politica dove i valori venivano apprezzati. Anche se non sempre. Ma c’era un principio di gratitudine nei confronti dei comportamenti, non parlo degli elettori verso gli eletti: ma delle istituzioni verso chi lavorava per essi”.

Oggi non è più così.
“Oggi questo fenomeno si è interrotto. Oggi si vive all’arrembaggio: c’è un’attività piratesca. Chi può, fa. E chi non può si pente di non aver fatto. In questo scenario allucinante, io ho la gioia di poter dire di non avere alcuna nostalgia”.

Si può individuare un momento nel quale la politica è definitivamente cambiata in questa maniera?
“Io non voglio fare il politologo. Dico solo che parlo per esperienza diretta: da quando sono cadute le ideologie non c’è più alcuna selezione. Si sapeva chi era che la pensava come te e gli elettori erano esigentissimi nei confronti degli eletti. Io dicevo sempre che mi sentivo “scrutato” dalle migliaia di elettori che mi avevano onorato della loro fiducia. Io, come tanti altri, davo il meglio per non tradire quel rapporto fiduciario”.

In effetti, parlare oggi di “fiducia” sembra quasi una presa in giro.
“Con le debite eccezioni, la politica è diventata un mestiere: il più inqualificato dei mestieri perchè non ci vuole titolo di studio nè abilitazione diversa dall’apprendistato degli appetiti. Oggi quelli capaci ci sono ancora ma vengono messi da parte perchè disturbano il “manovratore”.

Ma quando Lei si ritrova ad ascoltare le cronache della politica locale, non le viene almeno un po’ di arrabbiatura?
“Io mi sono lanciato in un’attività che è quella di reprimere i conati di vomito. Oggi, alla fine, mi amareggio ma poi mi dico: “Perchè devo premiarli col mio fegato?”. Ma l’indifferenza nei confronti dei cittadini, ormai è regola e forse – soggetti che definiamo “cinici” per semplicità di sintesi – hanno trovato la soluzione: cambiano da sinistra a destra facendo volteggi incredibili. Se fosse sport olimpico chissà quante medaglie avremmo ottenuto a Catania: e nessuno li punisce. Nemmeno l’elettore”.

E perchè?
“Perchè lo stesso elettore che lo ha maledetto fino al giorno prima, parlo di Catania tanto per fare un esempio, una volta ricevuta la busta della spesa si ingozza e dimentica tutto. L’indomani, poi, ricomincia con: “Questi cornuti” o “Questi ladri”. E’ una complicità perfetta dove nessuno rende conto a nessuno”.

E Lei come vive l’attuale momento storico di Catania?
“Catania è una città senza futuro. E non lo dico perché voglio essere apocalittico o perchè voglio scaricare responsabilità a questo o a quello. I fondamentali – si chiamano così – sono stati soppressi, nel senso che si naviga a vista: non ci sono riferimenti. Non ci sono carte nautiche. Non c’è programmazione. Si vive perchè oggi c’è questo problema e domani ce ne sarà un altro. E, poi, c’è la frase fatta: “Non ci sono soldi, che volete da noi?”. A questo punto, chiunque può fare l’amministratore: il vero padre di famiglia è colui il quale, non avendo grandi risorse, riesce a portare avanti la famiglia con quello che c’è”.

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A Catania in questo momento non c’è il buon padre di famiglia?
“Qui, questo problema non c’è: si tampona il problema con la passata di cemento in superficie e si crede di avere coperto la buca definitivamente quando a distanza di qualche giorno si ripresenterà ancora più grande fino a quando non diventerà voragine”.

Ma se oggi Enzo Trantino fosse stato d’opposizione a Enzo Bianco o a Rosario Crocetta, che avrebbe fatto?
“Io distinguo le due cose. Fossi stato d’opposizione a Bianco avrei utilizzato gli strumenti con i quali ho sempre fatto opposizione. Ovvero, presentando progetti alternativi: non solo dicendo “Tu sei incapace”. 
Il problema più grave è quello di Crocetta. Che è un soggetto impresentabile: io credo che solo in Sicilia possano avvenire certe cose. Io non ho mai incontrato, anche dal punto di vista letterario, un personaggio come Crocetta. Non uso alcuna eccezione negativa perchè qualunque possibile sarebbe inferiore alla realtà. Fare opposizione a Crocetta significherebbe solo una cosa: dimettersi, andarsene”.

E, secondo Lei, basterebbe?
“Qui ha ragione Nello Musumeci: subito, vi sarebbe il primo dei non eletti che farebbe continuare la manfrina. Fin quando vi sarà questa oscena regola che la sfiducia al presidente comporta la decadenza dei deputati regionali, questo problema non sarà mai proponibile. Pensi poi al fatto che dalla prossima legislatura i deputati scenderanno a 70: ecco che anche i partiti diventano complici di questa vicenda grottesca. Qui, la palude è diventata regola”.

Ce lo siamo chiesti dalle colonne del nostro giornale: “Cosa resta della Destra a Catania?”. Lo domando anche a Lei che ha sempre incarnato lo spirito.
“Non c’è più la Destra. Ci sono “le destre” e dentro “le destre” ci sono le parodie “delle destre”. La destra era un modo di vivere oltrechè di fare politica. Lo vedo, purtroppo, in quelle occasioni in cui qualcuno di noi viene a mancare: in momenti dove, nelle chiese, avverto la presenza di quella grande famiglia umana che si ritrova soltanto in queste occasioni. Ci vuole una morte per capire quanta vita ancora c’è dentro chi vorrebbe estrinsecarla. Ma questa è la destra bella. Pulita. E costretta all’inattività. Chiusa dentro una camicia di forza”.

A chi tocca liberarvi? A Musumeci?
“Non ne vedo altri. Ma non solo perchè non ve ne sono altri. Bensì perché chi c’è o ha deposto le armi o, alla fine, ha rinunciato a combattere mescolandosi nella confusione generale”.

Mi dice, telegraficamente, cosa pensa del Pd?
“Un partito che, a tutti gli effetti, ripropone una cultura del provvisorio con un presidente del consiglio che rappresenta solo una corrente e che si atteggia ed imita col petto in fuori e gli stivali come faceva la destra teatrale. Non è questo che l’Italia aspettava”.

Tornando a Catania, la diamo una speranza ai giovani della città?
“Dico ai giovani di liberare la valigia allestita per partire e riporla nell’armadio. Io dico “A da passà a nuttata”. Che duri molto o che duri poco: i problemi non possiamo risolverli piangendoci addosso. Una ricetta? In questa città vanno richiamate persone importanti che oggi sono nell’ombra: ma che a questa città hanno dato il meglio. 
Se fosse gestita, non nel senso di potere ma di dovere, da costoro si potrebbe creare un cordone ombelicale che a Catania non esiste più. Io nella vita non sono mai stato un pessimista ma neppure un ottimista – perchè gli ottimisti sono i pessimisti che non si erano informati – ma allo stesso tempo non ho mai smesso di credere di potere portare in questa città un Senato delle Qualità”.

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14 Agosto 2016, 05:17

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