Iblis, la difesa di Franco U Salaru: |”Dopo il processo cambierà vita”

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01 Febbraio 2014, 06:02

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CATANIA – Nel primo grado del processo abbreviato “Iblis” non c’erano stati sconti per Francesco Arcidiacono, “uomo d’onore” della famiglia Santapaola inserito nel quartiere del Villaggio Sant’Agata e storicamente vicino ad Aldo Ercolano, nipote del boss Nitto Santapaola. Una condanna a 18 anni e 9 mesi inflitta come un macigno per l’uomo conosciuto con il diminutivo di “franco u salaru” che in precedenza aveva scontato pene inferiori ai 5 anni, nei processi “Orsa Maggiore” e “Orione”. Ad emergere, secondo gli inquirenti, nell’inchiesta “Iblis” sarebbe stato il ruolo di sostituto nel tenere rapporti con le imprese di Vincenzo Aiello, capo provinciale di Cosa nostra e considerato dagli stessi associati a ridosso del 2009 prossimo all’arresto.

Nel processo d’appello dopo la lunga requisitoria del Procuratore Generale Gaetano Siscaro, che per Arcidiacono ha chiesto una condanna a 16 anni e 6 mesi, è stata la volta del suo difensore, l’avvocato Francesco Passanisi. Secondo il legale quello del “salaru” non sarebbe stato un ruolo apicale  all’interno dell’organizzazione mafiosa catanese. Motivo per cui ha chiesto alla Corte presieduta dal giudice Elvira Tafuri l’esclusione della recidiva, dell’aggravante del “capo-promotore” e la concessione delle attenuanti generiche. A far riflettere i giudicanti, secondo la difesa, dovrebbero essere due passaggi fondamentali. Da un lato una sorta di ammissione delle responsabilità di Arcidiacono, inserito nell’ambiente mafioso ma a detta dello stesso senza ruoli di primo piano, dall’altro la presunta volontà di una sorta di svolta alla propria vita dopo l’esito del processo Iblis.

A riferire di Arcidiacono sono stati tre collaboratori di giustizia di primo piano. Eugenio Sturiale, che in un interrogatorio del 2010 lo ha bollato senza mezzi termini come “il braccio destro di Aldo Ercolano”, i due vennero arrestati insieme a Desenzano sul Garda in provincia di Brescia nel 1994. Il secondo Ignazio Barbagallo e, terzo, Santo La Causa. Proprio sulle dichiarazioni di quest’ultimo si è particolarmente concentrata la difesa “Lui (La Causa) attribuisce – ha affermato l’avvocato – il ruolo di cassiere e sostentatore degli stipendi dei detenuti ad altro soggetto che non è Arcidiacono”. Il ruolo apicale del “Salaru” sarebbe smentito, a detta della difesa, anche dalla mancata presenza al summit di mafia nelle campagne di Belpasso  del 1 ottobre 2009. Data in cui le forze dell’ordine arrestarono parte del gotha di Cosa Nostra catanese ormai pronto a una guerra di mafia. “Com’è possibile – si chiede il difensore – che Arcidiacono quel giorno non fosse presente? Quel casolare è stato monitorato per tre giorni dalle forze dell’ordine e del mio assistito non c’è stata traccia. Un vero capo sarebbe stato presente”.

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Parere difforme anche per quanto riguarda l’interessamento nell’affare del centro commerciale in contrada Tenutella a Misterbianco (CT). Secondo La Causa infatti Arcidiacono si sarebbe occupato della spartizione di 400mila euro come prima trance dell’affare. “Questo – ha affermato l’avvocato Passanisi – lo farebbe sembrare un cassiere ma così non è perché un buon pentito ricorda le date e Santo La Causa le date non le ricorda e sbaglia”. Il pagamento sarebbe avvenuto infatti poco prima dell’arresto dell’ex reggente La Causa (ottobre 2009), periodo in cui era già libero un altro esponente di Cosa Nostra, Francesco Marsiglione, scarcerato nel 2008 e ritenuto dall’avvocato e dallo stesso Arcidiacono il vero deus ex machina dell’affare Tenutella.

Fatto uomo d’onore controvoglia, nel 2009, come ha dichiarato Santo La Causa, nonostante una militanza in Cosa nostra risalente agli anni ’80, Arcidiacono venne immortalato dalle telecamere del Ros durante un incontro con Pippo Ercolano, padre di Aldo. Ma non è finita qui. Lo scorso novembre, il suo nome, entrò nell’inchiesta-bis denominata “Libertà” di Dda e Guardia di Finanza che destrutturò il gruppo Santapaola del quartiere “Stazione” di Catania, capeggiato presumibilmente dal boss Giuseppe Zucchero.

Al centro dell’udienza anche la posizione di Maurizio Zuccaro. Il boss, parente dei Santapaola, era stato assolto in primo grado. In appello il Pg ha chiesto la condanna a 8 anni dopo l’impugnazione della precedente sentenza da parte dei Sostituti Fanara e Santonocito. Ad intervenire in aula è stato l’avvocato Giuseppe Rapisarda che si è concentrato su quello che ha definito “l’unico elemento probatorio” a carico del suo assistito, ossia un’intercettazione risalente alla fine del 2007 in cui il capo mafia della famiglia di Caltagirone Ciccio La Rocca venne ascoltato dai Ros intento a discutere di alcuni affari, facendo un riferimento a Zuccaro, con i fratelli Mirabile, all’epoca inseriti a pieno titolo nella famiglia del sud-Simeto.

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01 Febbraio 2014, 06:02

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