Catania, la cassaforte del clan: richieste di pena - Live Sicilia

La ‘cassaforte’ del clan Scalisi: capomafia e nipote alla sbarra

I pm hanno chiesto le condanne dei boss del clan adranita

CATANIA – Salvatore Calcagno rischia 18 anni di carcere. Il boss degli Scalisi, nipote del capomafia Giuseppe Scarvaglieri, non avrebbe solo preso le redini della cosca adranita – storica rivale dei Santangelo-Taccuni – ma avrebbe anche aiutato lo ‘zio’ ad accrescere gli investimenti imprenditoriali illeciti. Anche se il braccio finanziario del clan adranita sarebbe – per la procura – composto dai Siverino (Antonio e figlio, ndr) con le aziende di logistica sparse fino al Veneto. La richiesta di pena è stata avanzata dai pm Assunta Musella e Fabio Saponara nel processo abbreviato dell’inchiesta Follow the Money scattata nell’inverno del 2021. Il Gico della Guardia di Finanza ha documentato ‘l’ascesa economica’ incontrollata dei Siverino (che stanno affrontando il processo ordinario) ed esaminato le conversazioni intercettate durante i colloqui in carcere con il capomafia al 41bis.

Da quell’inchiesta il Tribunale della Libertà ha fatto cadere alcune contestazioni che invece erano state accolte dal gip, ma per il pm “il Riesame non ha valorizzato una serie di elementi partendo proprio dalla ricostruzione patrimoniale”. E inoltre per Saponara ci sarebbe “l’evidenza che arriva dai colloqui carcerari sia verbali che comunicativi”. Scarvaglieri sarebbe chiaro quando si approccia a Calcagno: “Adesso sei un imprenditore devi sapere che io sono qua”. Ma poi ci sono i dialoghi che attestano la crescita economica dei Siverino “altrimenti ingiustificata”. Non a caso Antonio Siverino è chiamato Antonio ‘u miliardario’ (nel secondo filone d’inchiesta sono sequestrate Porsche e Ferrari) ed ha un contatto diretto con il capo dei Laudani di Acireale, Carmelo Pavone ‘l’Africano. Che le società siano una sorta di ‘cassaforte’ degli Scalisi arriva anche da altre intercettazioni dove ad un certo punto si discute della “gestione economica delle attività” e “della gestione dei voti” per le amministrative. Un aspetto per la procura “lapalissiano” del legame tra le società e il clan diretto da Scarvaglieri.

Ma al monte probatorio si aggiungono le dichiarazioni dei pentiti, Giovanni La Rosa addirittura fornisce la spiegazione sulle varie operazioni economiche, l’uso dei prestanome e anche di trasferimento al nord Italia: “per evitare sequestri”. Parole a cui si aggiungono quelle di Salvatore Giarrizzo, che è stato ‘nominato’ vertice operativo del clan Adranita – almeno per sua ammissione – da Salvatore Calcagno in persona.  Le altre richieste di pena, avanzate alla gup Daniela Monaco Crea, sono 16 anni per Antonio Calcagno, 8 per Giuseppe Scarvaglieri, 6 per il collaboratore Salvatore Giarrizzo. Poi dai tre a un anno per le altre posizioni (anche donne), la maggior parte ‘teste di legno’.  


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