Catania, "Nell'Ateneo gruppi di potere ma non associazione a delinquere"

Catania, “Nell’Ateneo gruppi di potere ma non associazione a delinquere”

Le motivazioni della gup Marina Rizza sul proscioglimento per il reato associativo di ex rettori e prof.
'UNIVERSITA' BANDITA'
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CATANIA – Bisogna partire dalla fine per comprendere quali valutazioni hanno portato la gup Marina Rizza a prosciogliere gli ex rettori Francesco Basile e Giacomo Pignataro e gli altri 7 prof dal reato associativo. Il sunto è che per la giudice coesistono dei gruppi di potere (almeno due, uno contrapposto all’altro) che però non hanno i tratti delineanti della qualificazione giuridica di “associazione a delinquere”. La gup in 38 pagine motiva la sua decisone relativamente a questo  aspetto del troncone principale dell’inchiesta Università Bandita. Ricordiamo che gli imputati sono stati rinviati a giudizio per abuso d’ufficio e falso. 

Il materiale probatorio – scrive la gup – ha consentito di “accertare la diffusa, radicata di una prassi comportamentale ormai invalsa e stabilizzatasi all’interno dell’Università di Catania (e molto probabilmente anche presso altre sedi universitarie dislocate nel territorio nazionale) che ha permeato e permea di per sé l’intero apparato organizzativa dell’Ateneo condizionandone il funzionamento, sì da dar vita ad una pervasiva e consolidata mala gestio che ha finito per essere ormai socialmente tollerata quale ineludibile corollario della vita accademica”.

Per la giudice “è dimostrato in atti che gli organi strutturati all’interno dell’Ateneo nell’espletamento del loro ufficio, affiancano a determinazioni corrette sul piano etico, deontologico e funzionale in quanto adottate in ossequio ai criteri di trasparenza e meritocrazia cui per legge devono ispirarsi e conformarsi, determinazioni guidate invece dall’intento di assecondare equilibri ed assetti di potere interni ed esterni alla istituzione universitaria che prescindono” da questi “parametri”.

Ed è qui che la giudice manifesta le sue conclusioni: nell’ateneo di Catania “non opera un singolo gruppo di potere” ma “quanto meno anche un’altra contrapposta coalizione di identica tipologia con la quale la prima compete per acquisire il predominio e il controllo in seno all’istituzione di appartenenza”. Ma questo non implica “l’automatismo secondo cui al gruppo di potere individuato dai pm deve necessariamente attribuirsi l’identità a la qualificazione giuridica di associazione per delinquere, ove di questa difettino le caratteristiche tipizzanti”. Per la gup non vi è prova di “un vincolo solidaristico fra gli imputati”. Gli elementi probatori “hanno dimostrato la perpetrazione di una serie di reati contro la Pubblica Amministrazione da parte degli imputati ma sono privi – commenta la giudice – di analoga valenza dimostrativa in ordine alla riconoscibilità dei reati medesimi al gruppo”. 

Entrando nel cuore della sentenza della gup si può delineare con maggiore precisione la motivazione che porta al proscioglimento per il reato associativo. L’analisi si dipana sui due capitoli cronologici che poi compongono l’inchiesta: la decadenza di Giacomo Pignataro come rettore dopo la decisione dell’invalidità delle elezioni e il conseguente ritorno alle urne che porterà alla vittoria Francesco Basile. Siamo tra il 2016 e 2017. Un periodo in cui “all’interno dell’Ateneo” si sarebbe creata “una contrapposizione” fra “due gruppi di potere facenti capo a Giacomo Pignataro e Antonino Recca, entrambi ex rettori”. Due fazioni contraddistinte da una “aspra conflittualità” che erano egualmente intenzionate “ad assumere una posizione di predominio”.

La gup, dopo aver citato diverse intercettazioni della Digos, ritiene che “il contenuto delle conversazioni captate dimostra e comprova che un nutrito novero di capi Dipartimento dell’ateneo di Catania, accomunati da un nucleo comune di interessi e aspettative che avevano trovato riconoscimento e condivisione nel modus operandi dell’ex rettore Pignataro, hanno concordemente cooptato tra le file del gruppo fra essi di fatto costituitosi” attorno al professor Basile “individuandolo quale candidato per la nomina a Rettore” . Per la gup questo però non appare “connotato da disvalore penale”. Per la giudice si tratta di uno dei tanti “gruppi di potere” che operano in qualsivoglia ambito istituzionale. 

Per la gup, dunque, non vi sono i presupposti per l’azione penale riguardo al reato associativo non essendoci – a suo parere – i tre presupposti fondamentali al fine della configurabilità: “la costituzione del vincolo associativo permanente e stabile, l’indeterminatezza del programma criminoso perseguito e l’esistenza di una struttura organizzativa anche minima”. 

Dalla lettura delle motivazioni emerge un endemico “così fan tutti” che però non ha i connotati del “reato” penalmente perseguibile. Su questa analisi la gup ha voluto fare una premessa, che potesse essere una sorta di bussola nella lettura dell’esposto motivazionale. La gup ha voluto mettere una considerazione che può “apparire ovvia” ma che forse non lo è: “esula da percorso valutativo qualsivoglia implicazione o refluenza di carattere deontologico o morale, trattandosi di valutazione che opera su un piano e di valenza esclusivamente giuridica”. E poi chiarisce che la contestazione empirica del “così fan tutti” non “può e non deve essere letta in chiave giustificazionista”. 


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