11 Marzo 2018, 07:57
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CATANIA – Una protesta partita il lontano 28 novembre e non ancora arrivata al dunque. Questa l’istantanea sui “disagiati delle periferie” (così si sono auto-definiti) in cattedrale: una corsa che pare sempre più simile a quella di un treno che viaggia lungo un binario morto. Anche se nessuno ne parla più, vivono ancora dentro la chiesa madre di Catania le famiglie librinesi che, per affermare il diritto ad avere un tetto sulla testa e la prospettiva di un reddito da lavoro, hanno scelto di “occupare” la basilica dedicata alla martire etnea.
Il cartello “Non offendere la patria di Agata perché ella è vendicatrice delle offese” è affisso lì ai cancelli del Duomo quasi a segnalare l’efficacia di una rivendicazione h24. Ecco come appare l’interno della cattedrale sia ai fedeli sia ai turisti. Di giorno, stipati in fondo alla navata laterale, una catasta di materassi, culle per bambini e buste della spesa. Di sera, invece, la navata torna a pullulare di umanità, attese e speranze. Compare quindi una distesa di letti tra la tomba di Vincenzo Bellini e il fonte battesimale, apparecchiati alla meno peggio. Nelle prime ore della mattinata, poi, tutto è di nuovo smontato. Un sipario che si ripete tale e quale da mesi, esclusi i giorni delle festività agatine. Allora era stata trovata una soluzione provvisoria, un alloggio nella non lontana chiesetta di Sant’Anna.
Catania rimuove spesso i suoi drammi. Lo fa nel modo più facile: non parlandone più. Il risultato è che la presenza dei “disagiati” è ormai un arredo della Cattedrale a cui in tanti si sono abituati. Un dato che di per sé è già imbarazzante. Il vero problema, però, non sta tanto nell’indifferenza. La questione è a monte ed è molto più evidente. Andrebbe ricordato che la destinazione d’uso di ogni singola chiesa non è il dormitorio. Pare sconveniente affermarlo, ma è così. La cattedrale è un luogo di culto, pensato per la messa, finalizzato alla liturgia. Certo, esistono le eccezioni: ma prima ancora le regole. Se il Duomo è un simbolo, chi ha voluto spostare l’attenzione dalle periferie al centro – sotto un certo profilo magari non condivisibile – ha forzato la mano agendo però con intelligenza, mediatica almeno. Sotto il profilo pratico, però, è stata commessa un’ingenuità. Perché sulle questioni della casa e del lavoro, né Chiesa, né arcidiocesi, né curia, né tantomeno l’ente cattedrale, sono competenti in materia. Difficile aspettarsi da loro risposte strutturali o definitive. E francamente, far passare l’idea che ogni rivendicazione sociale debba essere risolta tra le mura della cattedrale, francamente, non sta né in cielo né in terra. Si tratta semmai di un’infantile coercizione che irrigidisce gli animi.
Altra cosa è l’assistenza morale, spirituale e concreta ai più poveri e agli ultimi. E sotto il profilo della solidarietà – esclusa una primissima fase di oggettiva sorpresa – la Cattedrale ha fatto la sua parte, aprendo il portone e dando seguito urbi et orbi alla predicazione di papa Francesco. Il cortocircuito è che l’intera questione, ormai, pare essere soltanto sulle spalle del parroco e dei suoi collaboratori. Ed è appunto qui che dovrebbe tornare in campo l’amministrazione comunale. Appunto perché dovrebbe essere lei la destinataria della protesta, anche se non in maniera esclusiva. Tuttavia una mediazione c’è già stata. La trattativa è avvenuta dinnanzi al prefetto e alcune soluzioni sono state avanzata (buoni casa, accesso a reddito d’inclusione, tirocini formativi, etc.), ma non accolte. Il rispetto delle graduatorie e delle procedure ha prevalso su tutto. Probabilmente, si sarebbe potuto fare anche un secondo tentativo. La questione però non si è arenata soltanto lì. Di fatto, è mancata la consapevolezza che il “tutto e subito” non è sempre ipotecabile – anche a fronte di anni di promesse disattese. È venuta meno anche la percezione che non esistono soluzioni semplici a problemi complessi.
Da allora la crisi della cattedrale è in un vicolo cieco che non porta (e porterà) beneficio a nessuno, soprattutto ai diretti interessati. Uno scontro tra sordi. Sullo sfondo ci sono le amministrative di primavera. Una volta arrivati a pochi palmi dalle urne, qualsiasi rimedio sarebbe come trarre un coniglio dal cilindro Per non parlare poi del rischio strumentalizzazioni da parte di tutti i candidati in corsa. Una cosa avvilente. Quando – e se – arriveranno i 95 alloggi del famigerato Palazzo di cemento a Librino, la questione non sarà risolta totalmente. Anche perché nelle graduatorie per gli alloggi popolari ci sono anche coloro che finora non hanno protestato il proprio disagio pubblicamente. Procedere verso un crinale di guerra tra poveri rischia di essere una polveriera da evitare di tutto cuore. Facciano tutti un ulteriore passo avanti verso la reciproca comprensione delle parti. Ritentare la strada del dialogo non può nuocere ad alcuno, non al punto in cui siamo arrivati. Si faccia in fretta. Guai però addossare lo stallo attuale ai poveri, a coloro che in ultimo spettano le risposte più urgenti. Fargli evitare, invece, di rimanere impigliati in una contestazione ormai guastata da premesse mal dosate, questo sì: lo si potrebbe fare.
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11 Marzo 2018, 07:57