Catturato latitante dal 2014 |Referente dei “Laudani”

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13 Giugno 2015, 13:31

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LICATA – Sì nascondeva a Licata, ma i carabinieri lo hanno scovato. Latitanza finita per Francesco Rosta, 73 anni, referente a Randazzo del clan “Laudani”. È stato arrestato a Licata, in provincia di Agrigento, dai Carabinieri del comando provinciale di Catania. La cattura di uno dei capi del clan  è stata effettuata, con l’ausilio dei colleghi del Raggruppamento Operativo Speciale e del Comando Provinciale di Agrigento, all’esito di un’attività d’indagine sviluppata dal Nucleo Investigativo di Catania fin dal settembre del 2014, quando Cicciu Rosta era sfuggito alle manette.

L’indagine. Il 22 settembre 2014 i Carabinieri hanno eseguito otto ordinanze di custodia cautelare emesse da GIP nei confronti di soggetti legati al clan mafioso dei “Ragaglia”, operativo a Randazzo e nelle zone limitrofe. Agli indagati sono contestati a vario titolo i reati di associazione a delinquere di stampo mafioso, furto, estorsione, usura e sequestro di persona. Si tratta di un’associazione criminale armata legata alla famiglia catanese dei “Laudani” meglio nota come “Mussi ‘i ficurinia”.

Le indagini hanno avuto inizio nell’anno 2011 e si sono protratte sino al 2013, mesi in cui i Carabinieri della Compagnia di Randazzo hanno monitorato, con indagini tecniche e di tipo tradizionale, le attività del sodalizio criminale e dei suoi associati. Le risultanze investigative hanno confermato in pieno la vitalità e l’operatività del clan, articolato nella classica struttura organizzata e verticistica il cui ruolo apicale è esercitato da Claudio Ragaglia, 46 anni, chiamato dagli altri sodali “Il Direttore”, affiancato nell’attività di direzione da Francesco Rosta.

Le indagini sviluppate hanno permesso di evidenziare il tentativo del gruppo criminale di assumere il controllo del territorio. La forza intimidatrice del clan, specie in occasione del recupero delle somme concesse ad usura, si è manifestata con particolare violenza, tanto che, in uno degli episodi contestati, la vittima veniva sequestrata, obbligata a salire in auto e, una volta condotta in un casolare, legata, picchiata e minacciata di morte con una pistola.

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I riscontri investigativi, caratterizzati anche da attività tecniche di intercettazioni ambientali e telefoniche, hanno permesso di ricostruire minuziosamente i ruoli e il vissuto criminale del clan, evidenziando anche la particolare accortezza degli associati nell’evitare i controlli delle forze dell’ordine.

 

 


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13 Giugno 2015, 13:31

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