Centrodestra e caso Genovese |L’azzardo presenta il conto

di

25 Novembre 2017, 06:06

4 min di lettura

PALERMO – Dice Nello Musumeci a proposito di Luigi Genovese: “Non l’avrei candidato se fosse stato nel mio partito, il coordinatore del suo partito, però, se ne è assunto la responsabilità”.

Dice il coordinatore del suo partito, al secolo Gianfranco Miccichè: “Luigi è un bravo ragazzo, sono certo che, a dispetto del momento durissimo, della sua giovane età e delle polemiche pretestuose degli avversari politici, saprà dimostrare nelle sedi opportune e nei tempi della giustizia la sua innocenza”.

In queste due dichiarazioni c’è già il ritratto delle due destre che hanno vinto le elezioni, riuscendo a superare le proprie contraddizioni e profonde differenze in nome del successo elettorale.

La destra di marca missina di Musumeci, dei proclami per la pulizia della politica e contro il trasformismo. E il centrodestra berlusconiano di Miccichè, quello del garantismo a oltranza e dei sospetti sulla giustizia a orologeria. Due mondi distinti e distanti che si sono abbracciati per non cadere nella trappola di cinque anni fa e riprendersi Palazzo d’Orleans. Già, ma a quale prezzo?

Il caso di Genovese jr è abbastanza emblematico. L’inchiesta che vede anche il giovane neodeputato messinese indagato in realtà è solo un’aggiunta. A un quadro che aveva già destato molte perplessità. Dice oggi Musumeci: “Fosse mio figlio io prenderei a calci chi dice che è impresentabile perché il padre è stato condannato in primo grado. Ha 21 anni, è uno studente di giurisprudenza ed è incensurato: per le leggi dello Stato è presentabilissimo”. Ma non ci sono solo le leggi dello Stato. E Musumeci stesso lo ha ricordato ieri. C’è la politica, che fa delle scelte. E Forza Italia a Messina la sua scelta l’ha fatta, aprendo le braccia a Francantonio Genovese e lanciando la volata al suo giovanissimo erede.

Eppure sul sistema di potere targato Genovese, inchieste e sentenze, anche se non definitive, avevano mostrato molte ombre, tali da indurre probabilmente a una maggiore prudenza.

Ma Miccichè, che è uomo politico con il gusto della scommessa, ha voluto osare ugualmente. Battezzando l’illustre studente nella kermesse del Palacultura in cui lo benedì dicendo che Genovese jr aveva l’esperienza che gli veniva dalla sua famiglia. Non solo quella, secondo i magistrati che lo indagano.

Articoli Correlati

Quando la scelta di Forza Italia maturò, Musumeci rimase fuori dai giochi, leggendo i nomi sui giornali come disse lui al confronto tv sulla Rai. “Avrebbe potuto dire o lui o io”, obiettò Claudio Fava. Non lo fece. E proprio a Messina il candidato del centrodestra costruì un bel pezzo della sua vittoria, letteralmente doppiando Giancarlo Cancelleri.

Oggi, però, l’ultima tegola in questo sventuratissimo avvio di legislatura, colpisce la sua coalizione. E soprattutto Forza Italia e Gianfranco Miccichè, che ha voluto quell’operazione “eredità” mettendoci la faccia.

Ne valeva la pena per 17mila voti? Forse no, obietterà qualcuno. Ma i conti sono in realtà ben più complessi. Perché nella grande (e vincente) spregiudicatezza elettorale del centrodestra siciliano non c’erano solo i veri o presunti o falsi impresentabili. Ma anche i trasformisti dell’ultima ora, quelli che hanno saltato il fosso in zona Cesarini, cambiando casacca per comodo con quella disinvoltura che Musumeci per una legislatura aveva censurato introducendo in un ddl sanzioni per chi se ne fosse reso protagonista.

Ma i dodici cambiacasacca last minute hanno comunque portato alla causa del centrodestra la bellezza di 50mila preferenze, voto più voto meno. A cui si aggiungono le altre migliaia e migliaia assicurate dai candidati “imbarazzanti”, eletti o meno, tra Messina, Catania e Siracusa.

Ecco perché adesso le vicissitudini della Genovese dinasty sono certo una grana per Forza Italia e il suo leader ma non possono passare come acqua fresca addosso al presidente della Regione, che è entrato a Palazzo d’Orleans forte del consenso di una coalizione spinta anche da quelle scommesse azzardate.

È da 70 anni che in Sicilia le liste elettorali sono frequentate da personaggi chiacchierati”, dice Musumeci, indignandosi per chi si indigna. Ma il frutto di quei settant’anni sta proprio lì, in una regione in cui più della metà degli elettori resta a casa invece di votare, e tra quelli che a votare ci vanno non si sa quanti il voto se lo vendono tra i 25 e i 100 euro a scheda, come sembrerebbe emergere da inchieste (almeno tre procure indagano) e scandali recenti.

Scandali che certo non fanno bene ai leader politici. E anzi, l’inchiesta che riguarda Edi Tamaio, candidato di Sicilia Futura, fornisce al centrodestra l’appiglio per parlare di male comune. “Nessuno, e ripeto, nessuno – ha detto ieri Musumeci – può dare lezioni di moralità. Il problema c’è e riguarda tutti”. Toccherà affrontarlo, allora, prima che alle urne non restino solo i commercianti di preferenze. 

Pubblicato il

25 Novembre 2017, 06:06

Condividi sui social