29 Settembre 2019, 09:25
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Ci sono cose che i nostri figli non hanno vissuto e che conoscono soltanto come storie. C’erano una volta la lira, il 1900. E l’autunno. Quando i miei figli mi chiedono cos’è la lira e non si danno pace che io sia davvero nata nel 1900 e 77, già capisco d’essere l’ultimo dei dinosauri di un’epoca.
Ora, visti i tempi climatici che corrono, poco ci manca che comincino a domandarmi: mamma, ‘ai tuoi tempi’, esisteva davvero l’autunno? Cioè, l’autunno quello vero, quello con le foglie arancioni e croccanti quando le calpesti sul bordo del marciapiede, con il profumo delle caldarroste e dell’aspro odor dei vini che va l’anime a rallegrar? Si, bambini. Quello. Quando settembre pian piano si stempera in un nuovo passo di vento, la luce del giorno si arrende presto alle ombre della sera e ti viene voglia di cioccolata calda e mani dentro le tasche del tricot.
L’autunno a Palermo. Un’infinita fine d’estate, con il motorino a fare la spola tra la città e Mondello finché ce la facciamo a rubare ancora un poco d’azzurro, un gelato da Lattepa, quando le capanne non ci sono più e lo sguardo respira sul golfo liberato. Autunno dietro i vetri, con le prime piogge di novembre, a cercare l’odore della terra bagnata. A catturare le onde arrabbiate negli occhi e nelle ossa, ad ogni punta dell’isola, dentro k-way che non riparano mai.
Poi l’autunno si è trasferito qui, nella Valle della Loira, dove adoro raccoglierlo e conservarlo dentro una scatola di vetro dai bordi dorati. Un oggetto un po’ retro’, come l’autunno del resto. Ci infilo dentro ogni reperto possibile, ogni colore:ghiande, gusci di castagne, legnetti d’acero e foglie di quercia. C’è il primo muschio del bosco e c’è il ciclamino. Il ciclamino, che, da quando ero bambina, racchiude tutta la dolcezza di questa stagione.
C’era questa casa dei miei in montagna, non lontano da Palermo, dove per alcuni anni ci trattenevamo oltre l’estate. Facevamo avanti e indietro per andare a scuola e poi, finiti i compiti, ci lanciavamo felici a giocare in quel giardino che in autunno si vestiva di un nuovo incanto.
Raccoglievamo noci e noccioline, nei nostri stivali di gomma, scalavamo scivolose montagne di fango, recuperavamo gli ultimi nidi ormai vuoti e, meraviglia delle meraviglie, in una fredda domenica d’ottobre, nascosta all’ombra del ciliegio, scoprivamo una distesa segreta di ciclamini rosa, porpora e malva. Non ne avevo mai visti tanti tutti insieme e non immaginavo ne esistessero davvero fuori dal negozio del fioraio.
Di tutti gli autunni che mi hanno attraversata, quelli dei ciclamini sotto il ciliegio mi riempiono ancora ogni senso di gioia e d’una tenerezza struggente. Come le cose che non tornano. Ma la bellezza torna, nell’ottobre qui in Tourenne, dove l’aria si profuma di camini che si accendono ed i paesaggi si sdoppiano nel riflesso del fiume, in quest’impressione di colori in continuo movimento, come nei quadri di Monet.
In questa terra antica, il canto autunnale dei cervi in amore è seduzione di una vita segreta e selvaggia che, da qualche parte, ci appartiene ancora. Le stagioni ci somigliano. Hanno sfumature ed umori cangianti e fugaci. Inquietudini inconsistenti come le nuvole di fine settembre, temporali che deflagrano come ad ottobre e raggi di sole improvvisi come estati di San Martino. Hanno segreti da svelare ed altri da custodire. Le stagioni ci somigliano e quando, come adesso, si ammalano, un poco ci ammaliamo anche noi.
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29 Settembre 2019, 09:25