03 Luglio 2011, 08:28
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Giovanni Impastato iniziamo con un commento a caldo sugli arresti di Gaetano Riina e nipoti.
“È sempre un fatto positivo quando vengono assicurati alla giustizia questi grandi criminali intenzionati a riprendere le redini dell’organizzazione mafiosa. Però non può finire tutto qui, penso che bisogna lottare contro la mafia cercando di sconfiggere un sistema di potere legato alla politica ma soprattutto alla borghesia mafiosa. I nuovi boss non sono più persone con la quinta elementare, le ultime inchieste hanno dimostrato che ai vertici c stanno architetti, medici, imprenditori, politici. Vediamo che tutto quello che si teorizzava tanti anni fa, adesso si è avverato e capiamo che nonostante gli arresti la mafia è ancora forte. Mi sembra che si stia provando a ricostituire un esercito criminale, alle dipendenze però dei colletti bianchi con un ruolo attivo all’interno dei mandamenti”.
Cosa Nostra sembra essere tornata alle origini gerontocratiche. Si riconferiscono i poteri ai vecchi perché più affidabili dei giovani?
“Sta venendo fuori una nuova strategia che può comprendere anche il ritorno ai vecchi che rappresentavano quella parte di mafia un po’ moderata, che cercava contatti con le istituzioni. Una mafia insomma alla Gaetano Badalamenti, ricordiamolo, sconfitto dai corleonesi perché molto più moderato e intenzionato ad avere un ruolo privilegiato con una parte di Stato. Ora si sta ritornando al vecchio, lo abbiamo visto con Provenzano, che da carnefice si trasforma durante la fase di reggenza della cupola mafiosa, in un moderato che discuteva, ragionava e uccideva il meno possibile. Il problema è che loro cercano di adeguarsi in base al contesto sociale. Non sappiamo quello che può succedere fra qualche mese, ma ci sono dei segnali che ci mettono in allarme”.
Nel 2006 lei scrisse una lettera ai figli di Provenzano chiedendogli di non tacere sulle colpe del padre, di scegliere la strada dei suo fratello Peppino. Ci può essere una redenzione negli eredi di una famiglia mafiosa? Nel caso dei Riina sembrerebbe di no.
“Penso proprio di no, anche per quanto riguarda i Provenzano. Le spiego, io scrissi quella lettera perché seppi che i figli di Provenzano svolgevano attività legali, uno dei due insegnava in Germania, l’altro aveva un ruolo di importanza all’interno di un’agenzia assicurativa, e mi ero illuso facendo un appello affinchè rompessero pubblicamente con la tradizione mafiosa del padre, senza però mancargli di rispetto o rinnegarlo. Perché l’avere scelto di intraprendere una strada diversa, una carriera onesta è un fatto importantissimo certo, ma non basta, bisogna dire le cose come stanno. Invece non mi risposero, anzi il loro avvocato tramite i giornali, mi disse che non si doveva violare la loro privacy. Purtroppo non se la sono sentita di fare il passo che facemmo io e Peppino con nostro padre, un esempio educativo ma ahimè unico”.
Insomma nessuno cambia? I figli non redimeranno i padri?
“Oggi mi sembra difficile, di solito non sono mai così pessimista. Prendiamo ad esempio i pentiti che poi non sono tali ma collaboratori di giustizia, non hanno subito una crisi di coscienza, sono persone che approfittano delle leggi dello Stato per avere dei benefici. È un discorso di convenienza, non di redenzione vero e proprio. Ci sono stati casi sporadici come Leonardo Vitale, quello sì che era un vero pentito, perché non c’era una legge che lo agevolava, non aveva chiesto benefici, non aveva chiesto nulla, ebbe una crisi mistica e rivelò tutto agli investigatori, solo che fu preso per pazzo. Vedo che oggi i figli dei grandi mafiosi, si limitano a non continuare le attività della famiglia, non hanno il coraggio di ammettere gli errori dei genitori. Peppino Impastato scelse di operare una frattura netta con la famiglia, rilanciando i valori di libertà e democrazia rispetto a quelli di schiavitù e assoggettamento alla mafia. E nonostante tutto mio padre che pure era mafioso, si fiondò in America a cercare protezione per il figlio quando seppe dell’ordine di ucciderlo. Ecco, in quel preciso momento c’è stata la vera redenzione”.
E l’antimafia? Quella cambia?
“L’antimafia si dovrebbe dare una regolata, cambiare anche metodo di lotta, essere più incisiva, chiara, ma soprattutto meno litigiosa, lì si litiga tantissimo perché ha molta visibilità come movimento e ognuno vuole apparire come protagonista. Viviamo in una società delle immagini. Per quanto riguarda la vicenda di questi giorni sull’assegnazione della casa di Badalamenti, sono molto dispiaciuto. Siamo di fronte a persone che ancora non hanno capito molto che i tempi sono cambiati e con questi il modo di relazionarsi con la gente. Faccio un esempio: la figura di Peppino non può essere ghettizzata all’interno di un’ideologia che è quella comunista, nessuno può nascondere le sue radici politiche dalle quali io stesso provengo, ma sono convinto che Peppino esprimeva dei valori come l’ecologia, l’impegno per la pace e la lotta alla sopraffazione, che appartengono anche ad una cultura diversa come quella liberale, cattolica, socialista, progressista e così via. Per quanto riguarda la casa, se a noi viene assegnato un bene confiscato, questo ci viene dato dal Comune in base alle legge 109, non è che il bene viene occupato dal movimento rivoluzionario. Noi quindi dobbiamo avere un rapporto privilegiato con le istituzioni se accettiamo di gestire quel bene, sennò ci rinunciamo. Qualcosa comincia a non funzionare più, per questo mi sono staccato sia dall’”Associazione Peppino Impastato” che dal “Forum Antimafia”, i quali pretendevano di impedirci, a noi della famiglia Impastato riuniti nell’associazione “Casa Memoria”, di entrare nell’immobile di Badalamenti”.
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03 Luglio 2011, 08:28