24 Maggio 2013, 21:11
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Quali miracoli chiederemo al beato Pino Puglisi? Andremo in processione per supplicarlo, affinché guarisca l’infermità di qualcuno che amiamo, o interceda presso un più alto in grado? Scriveremo pizzini, auspicando che un figlio trovi un posto di lavoro? Biascicheremo un’orazione, chinati sulla sua reliquia, per la malattia di un padre, di un fratello, di un amico, perché la carne non sia più così debole e soccombente sotto i colpi del destino? L’eventualità c’è. E non sarebbe nemmeno una bestemmia. Tutti abbiamo bisogno di un amico, perfino immaginario, lassù. Siamo fragilità sottoposte a strattoni, dolori e gioie. Nel momento della prova, cerchiamo un volto umano. Chi ha mai visto sul serio la faccia di Dio? Chi gli ha mai parlato, da vivo, e accarezzato le guance dove – dicono – riposi una bellissima barba bianca?
Don Pino Puglisi è passato vicino, una costellazione di fuoco, forza e tenerezza. Non tantissimi gli hanno stretto le mani e sono i fortunati che ne conservano, a torto o a ragione, una concreta memoria. Molti di noi, i giornalisti, i ragazzi di scuola, gli indifferenti, gli appassionati, l’hanno conosciuto quando era già immagine, nel sorriso scolpito che abbiamo reso onnicomprensivo. Ed è vero che don Pino sorrideva, ma quando era necessario. Non con il gesto facile della leggerezza. Perciò dobbiamo dimenticare il santino. E scordare i santi, per concentrarci sui fanti, sulle ferite, sulle terapie risolutive.
Il sacerdote di Brancaccio non merita di finire nell’Olimpo della beatitudine specializzata. Sarebbe una beffa, dopo tanta morte e tanto riscatto, l’iscrizione a un elenco indefinito e clientelare preda di questuanti che bussano, aspettando un cenno. Lì c’è San Coso che si occupa delle ferite di arma da fuoco. Accanto, in corsia, il santo che guarisce i tumori. Ecco, più a destra il santo che cura l’amore non corrisposto, accanto al paradisiaco ufficio di collocamento a cui si rivolgono i disperati, sognando di ricevere utili promesse e una pacca, un colpo d’ala sulla spalla. E citiamo San Pietro che tiene le chiavi. E Santa Rosalia che la peste si portò via. E san Pancrazio dei cui miracoli non sono mai sazio. C’è una giaculatoria per ogni prodigio, quando ci avviciniamo all’altare o nei luoghi di culto con la fame profana di chi si consegna al potere del mago, del medico, del politico che può raccomandarci e mettere una parolina buona con la barba infinita nell’alto dei cieli.
E il beato Pino Puglisi? Che ne sarà di lui? Beato lui, se lo lasceremo in pace, se non lo scocceremo con richieste inopportune. Beati noi, se impareremo a cercare il miracolo più importante che c’è: il cambiamento. Questo dovremmo costruire e sperare. Che arrivi la grazia a soccorrerci, ad abbracciare la nostra incerta volontà.
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24 Maggio 2013, 21:11