02 Gennaio 2015, 07:34
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Nel novero dei papabili la conteggiano un po’ tutti. Anche se magari non ci credono troppo. Ma Anna Finocchiaro, almeno sui giornali, è da sempre candidata in pectore a qualcosa. Anche se poi quel qualcosa non si concretizza mai. Di lei si parlava per il Quirinale due giri fa, quando alla fine la spuntò Giorgio Napolitano. L’idea di una donna al Colle era suggestiva e la senatrice modicana, catanese d’adozione, appariva in pole per i retroscenisti. Non se ne fece niente e lei commentò a suo modo, con una frase che le rimase appiccicata addosso quasi quanto la foto della sua scorta che le spinge il carrello all’Ikea: “Un uomo con il mio curriculum sarebbe già stato nominato presidente della Repubblica da tempo”. E sì, perché forse la modestia non è mai stata una delle più grandi virtù di Anna Finocchiaro, che siede in Parlamento dai tempi in cui Berlino era ancora divisa in due dal Muro.
Magistrato, comunista, poi Pds (con tanto di lacrime per il pensionamento di falce e martello), ministro per la Pari opportunità con il primo Prodi e poi ascoltatissima e autorevole capogruppo del Pd a Palazzo Madama, oggi, ai tempi del Rottamatore, la Finocchiaro s’è ritagliata un nuovo spazio, da presidente della commissione Affari costituzionali, dove ha seguito con mano sicura ed esperta la gestazione della riforma voluta da Renzi, ricevendo le pubbliche lodi della ministra Boschi. Un momento di distensione tra la senatrice e la galassia renziana, dopo le tensioni del recente passato. Renzi , allora minoranza nel partito, la biasimò pubblicamente nei giorni dell’ultima elezione del Capo dello Stato, proprio per la foto dell’Ikea, “un attacco miserabile”, sentenziò Anna. Correva l’anno 2013.
Forte, sicura, molto efficace in tv (al netto di un famoso scivolone, quando a Porta a Porta le scappò un “stiamo parlando di parlamentari, non di bidelle”, poi si scusò con le suddette bidelle), di lei si è parlato in passato come possibile ministro dell’Interno (al Viminale poi andò Amato) e persino come potenziale nuova guida del Pd (applauditissimo il suo intervento a quel congresso fiorentino) ma la spuntò Veltroni. A presidente si candidò davvero, in Sicilia, non prima di essersi assicurata un sicuro paracadute per tornare al Senato in caso di sconfitta. Sconfitta che maturò con numeri d’apocalisse, più che doppiata alle urne da Raffaele Lombardo, lei che in campagna elettorale si era proposta come “madre” e che trovò una Sicilia figliastra, poco incline al farsi convincere dalla sua mitica e affascinante voce calda e roca, un po’ da Camilleri donna. Eppure, tra alti e bassi, inclusa la vicenda giudiziaria dell’appalto al del Pta di Giarre che toccò suo marito Fidelbo Melchiorre, “Annuzza” resta lì, in prima fila. E sui quotidiani nazionali anche stavolta il suo nome non manca mai negli elenchi del toto Quirinale, quando gli addetti ai lavori vogliono applicare seppur ipotetiche quote rosa pure ai pronostici. E in fondo, con quel curriculum lì, direbbe lei…
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02 Gennaio 2015, 07:34