28 Aprile 2013, 08:19
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Sfondano una porta aperta gli studenti palermitani delle scuole superiori che all’inizio della settimana scorsa, annunciando un corteo poi svoltosi venerdì, hanno appeso dei cartelli dentro gli autobus invitando a non timbrare il biglietto. E’ come chiedere agli italiani se vogliono pagare le tasse o ai commercianti se sono felici di emettere lo scontrino fiscale. I passeggeri si sono uniti alla protesta. Figuriamoci. Magari gli studenti non lo sanno, ma quello di non obliterare il ticket nei mezzi Amat è uno sport diffusissimo. La protesta ha al centro la precarietà economica ed esistenziale che ci sta investendo in pieno. Su uno dei cartelli esposti c’era scritto che si vuole il reddito minimo garantito, case, trasporti e sanità gratuiti per tutti i disoccupati e i precari. Anzi, un altro messaggio inneggiava a trasporti pubblici gratuiti e funzionanti garantiti a tutti e tutte indiscriminatamente.
Forse ai ragazzi sfugge un piccolo particolare. Non pagare un servizio pubblico di base, come quello del trasporto, è un danno e non un favore che si fa alle categorie svantaggiate che la loro iniziativa intende proteggere. Se facciamo andare in default, e già la situazione dell’Amat è abbastanza pesante anche per altre ragioni, il trasporto pubblico, esortando la gente a non obliterare il tagliando, cosa resterà per muoversi, se non i mezzi privati? E chi può permettersi, secondo i nostri studenti, di spostarsi a piacimento sul proprio mezzo giornalmente, con quello che costa il carburante, se non chi appartiene a quelle fasce di reddito che si possono ancora consentire uno stile di vita al di sopra della media? Probabilmente i nostri studenti dovrebbero rendersi conto che solo diminuendo quell’ampia fascia di portoghesi che giornalmente bivaccano sui mezzi Amat a scrocco, e non estendendola come loro propongono di fare, si può permettere all’azienda di percepire più incassi e così pensare, eventualmente, ad una riduzione dei costi per l’utenza.
Inoltre, propendere ancora per una politica dell’assistenzialismo di massa (case, reddito e servizi gratis) non è, come quella di non sborsare un centesimo per il biglietto, esattamente una novità. Quell’assistenzialismo che loro vorrebbero è lo stesso, che lo sappiano o no, che ha fregato e sta fregando la loro generazione. Il precariato a vita in cui si dibattono i loro genitori è la prima causa del futuro incerto che li attende e delle tante porte chiuse che troveranno non appena finiranno di studiare. A meno che non cambino registro valutando la possibilità di vederla in un altro modo. Lasciando per sempre il solco già arato molto bene dalle generazioni precedenti, iniziando a pretendere il riconoscimento del merito e mettendo in circolo idee nuove. Cercando di non lisciare il lupo per il verso del pelo (incoraggiando a non pagare il biglietto fanno proprio questo), ma affrontando con coraggio i veri nodi della questione che li vede coinvolti.
Non sarebbe male, ad esempio, presentarsi in piazza insieme ai tanti lavoratori dei vari bacini di precariato che protestano e chiedere alla politica di mettere, per sempre, un punto a tutto ciò. Sia chiaro, chi non ce la fa va aiutato. Ma la vera rivoluzione, cari ragazzi e ragazze, se proprio volete farla, è quella della normalità. Vi conviene. Una normalità dove il lavoro e il reddito derivano dallo studio, dall’impegno e non sono il risultato di un assistenzialismo fine a se stesso. Una normalità in cui pagare il biglietto dell’autobus è solo un gesto di civiltà. Se per caso cambiaste idea, provate a risalirci, sugli autobus, dicendo ai presenti che devono pagare perché quello è un servizio da tutelare. Troverete certamente meno accoglienza. Non preoccupatevi. Quello sarà il segnale che siete sulla strada giusta.
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28 Aprile 2013, 08:19