25 Maggio 2009, 09:15
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ECONOMIA: Le mosse di Bilderberg
Bill Gross, il gran capo di Pimco, il più grande fondo obbligazionario del mondo, ha dichiarato questa settimana che “alla fine” gli USA perderanno il loro AAA rating, ma non subito. Gli USA, come la Gran Bretagna, hanno una prospettiva di deficit annui di almeno il 10% del PIl (ricordo per dare un punto di confronto che a Maastricht il 3% era considerato un limite estremo) per ogni anno a venire del prossimo decennio… per cui ad un certo punto lo stock di debito sorpasserà il 100% del PIl, che è il livello in cui normalmente scattano le riduzioni di rating… ha commentato Gross, il quale fino a poche settimane fa aveva detto che gli USA dovevano spendere ben più di quanto previsto da Obama, almeno altri 4 trilioni, perchè “solo così si frenerà la caduta dell’economia”. E quando la Federal Reserve , il 19 marzo, annunciò la stampa di moneta di 1,8 trilioni, per comprare titoli di stato e ipotecari, Gross dichiarò che occorreva molto di più, auspicando fino a 5 -6 trilioni, ed ora ci viene a dire che è inevitabile gli USA perdano il rating….. Perchè parlo di Gross? perchè è uno degli invitati alla segreta riunione del gruppo Bilderberg, cui hanno partecipato anche due distinti economisti, Gregory Mankiw, ex consigliere di Bush, e Kenneth Rogoff, economista capo del Fondo Monetario Internazionale. Dopo Bilderberg questi signori si sono distinti per dichiarazioni in cui auspicano una bella dose di inflazione, in grado di rendere meno pesanti i debiti per consumatori e governanti, con in più il vantaggio di spingere la gente ad anticipare le proprie spese in vista di prezzi futuri più cari. Rogoff, che insegna anche ad Harvard, si augura un bel 6% per almeno un paio di anni; Mankiw, che a fine 2007 disse che gli USA avevano un “dream team” di economisti deducendone che niente sarebbe potuto andare per il verso sbagliato, ha aggiunto che , vista l’impossibilità per la Fed di abbassare i tassi d’interesse nominali già a zero, se aumenta l’inflazione quelli reali scendono; al 6% di aumento dei prezzi al consumo, i tassi d’interesse reali sarebbero al -6%. Mankiw aggiunge che ciò equivale all’abbandono del gold standard nel 1933 per combattere la Depressione. Meglio accettare una forte inflazione che vivere un lungo periodo di stagnazione con molti problemi anche legali indotti dalla gestione dei mega debiti.
Prevista qui da tempo, la mossa di propagandare l’inflazione come il minore dei mali, è ormai quasi ufficiale. Nulla si può sapere di cosa possano aver deciso dieci giorni fa a Bilderberg, ma non ci vuole molto ad immaginarlo, anche perchè in una settimana priva di dati ed eventi, sono arrivati scossoni sui mercati ben precisi e chiari, sempre nel segno di creare inflazione. Chi immagina esista la Cupola, può pensare che non controlli le agenzie di rating? certamente no, ed infatti l’innesco del processo è stato l’avvertimento sul rating (ad opera di Standard & Poor’s) del debito sovrano dell’Inghilterra. Immediatamente lo scossone si è trasmesso sui mercati, i quali hanno pensato all’ancor più disastrosa situazone degli USA. Per cui sono partite fortissime vendite di bond (soprattutto le lunghe scadenze) e di dollari: possiamo immaginare chi ci sta guadagnando, e come si fregano le mani i fautori dell’inflazione, perchè è ovvio che la svalutazione del dollaro è una manovra inflazionistica, e non è un caso che nelle stesse ore due importanti economisti facevano le dichiarazioni sopra menzionate. Possiamo anche immaginare chi ci rimette: i creditori i dollari, a cominciare dalla Cina.
Quello che è difficile da mandare giù è come – nonostante tutte le lezioni passate – si possa ancora vendere la merce inflazionistica, anche se la spacciano gli economisti ortodossi. In realtà la lunga e sordida storia dell’inflazione, la orribile tassa occulta che colpisce soprattutto i meno abbienti, dovrebbe rendere impopolare questo marketing. Ma il popolo è ignorante e si berrà questa cicuta spacciata come brodo ricostituente.
La questione che ha appassionato i mercati questa settimana è stata però un altra, e cioè se gli USA perderanno la tripla A; come al solito, non si coglie il punto focale, che dovrebbe essere invece se la Cupola con i suoi killer politici ed economici, in pieno delirio di onnipotenza, sia ormai lanciata su una strada che porterà alla bancarotta dell’intera economia globale, ed alla scomparsa definitiva del sistema capitalistico occidentale, così come successo per quello comunista sovietico, e ad una specie di nuovo buio Medioevo. Adesso che si illudono di averlo evitato, qualcuno si lascia sfuggire l’ammissione che il mondo è stato a un passo da questo esito lo scorso ottobre(Tremonti). Il che dimostra come tale scenario non sia “impossibile”, tutt’altro. Per cui fa impressione che, mentre la priorità numero uno dovrebbe essere evitare un simile risultato, vi siano conferme continue sempre maggiori di come si persegua la strategia inflazionistica che porta al peggiore degli scenari possibili.
Rogoff, auspicando il 6% di inflazione, dice che ciò disinnescherebbe la “bomba del debito”. Semplicemente, non è così.Trilioni di nuove emissioni governative non fanno altro che peggiorare le conseguenze dell’ inevitabile scoppio della “bomba del debito”. C’è una scuola di pensiero che ritiene si stia oggi riducendo il peso del servizio del debito, il che può essere in qualche modo vero per le famiglie e i settori finanziari; ma tali benefici sono in realtà di gran lunga superati dai rischi sistemici associati con la ridistribuzione di multi trilioni di debiti e rischi connessi al governo e alla banca centrale. Ed è un epoca specialmente inopportuna per aumentare il rischio sistemico aggregato.
Questo aspetto della bomba del debito, o – come la chiamo io – della Bolla del Debito pubblico, non è facilmente comprensibile oggi. Nonostante il debito governativo si espanda negli USAfino al 13% del PIL nel 2009, gli ottimisti si confortano pensando che lo stock in essere non è ancora probematico ed è inferiore a quello del Giappone. I rendimenti però stanno salendo, anche se per il momento gli USA riescono a piazzare le loro cambiali senza problemi. E’ ovvio che una crisi di fiducia nei titoli di stato sarebbe catastrofica. Non va dimenticato che si è appena superata la crisi di fiducia nel sistema bancario perchè ha garantito lo Stato! ma chi può garantire lui? il consensus si conforta pensando che quando l’economia (grazie ai tassi a zero e al nuovo boom creditizio) si riprenderà, sarà in grado di tappare tutti i buchi (cioè le entrate fiscali saranno tali da generare un surplus). Ho già spiegato che è ridicolo anche solo pensarlo, ma vorrei aggiungere che -a parte ciò- vi è un altra bomba a tempo che sta facendo sentire il suo sinistro ticchettìo: quella della redistribuzione del rischio ipotecario, specialmente alle fallite Fannie e Freddie.
Rogoff crede che facendo inflazione si faciliti il processo di riduzione delle leve finanziarie. Non credo proprio. Il processo molto delicato in atto dovrebbe cercare di svincolare l’economia dall’attuale dipendenza mortale dai 2 trilioni di credito addizionali annui. E’ una questione cruciale, intrecciata profondamente con la struttura economica esistente, e non viene certo risolta tramite addizionale inflazione creditizia. Le politiche attuali stanno spostando il peso dei debiti dal settore privato a quello statale, e nel far ciò stanno aumentando il peso complessivo del debito (per giunta improduttivo) di altri 2 trilioni annui. Soprattutto , come scrivo da tempo, gli interventi dirigistici asfissianti sui tassi d’interesse e di cambio e sulle quotazioni azionarie, corrodono ulteriormente la capacità del sistema di allocare le risorse, finanziarie e reali.
Mankiw crede che se i consumatori percepiscono l’arrivo dell’inflazione correranno a indebitarsi e a spendere, il che sarebbe un bene per l’economia. Peccato che gli USA non producano abbastanza di ciò che i consumatori comprano, così il deficit con l’estero che attualmente sta faticosamente rientrando grazie alla crisi, riesploderebbe . Il dollaro ha già ripreso a svalutarsi il che significa importare inflazione, e ciò non va a beneficio delle famiglie e dei consumatori, il cui reddito reale si erode. Inoltre, aspettative di inflazione crescente spingerebbero a comprare valori mobiliari esteri e materie prime, e altri assets “non-dollaro”. Come si è già visto nelle ultime settimane tutto questo può avvenire velocemente e innescare un processo autorinforzantesi. In un economia squilibrata, dominata da dinamiche speculative, non ci vuole molto ad attizzare l’inflazione, e la nozione che il sistema dei prezzi possa essere facilmente manipolato dalle autorità a loro piacimento, quindi con la capacità di far rientrare l’inflazione quando e come vogliono, è veramente un mito falso, truffaldino. Durante il 2000-2004 si era già visto come la liquidità ami l’inflazione; il punto saliente era che la Fed poteva certo creare liquidità sistemica, ma non era in grado di indirizzarla a un settore particolare che ne avesse bisogno, perchè in realtà la liquidità fluiva laddove era già abbondante, con il risultato di creare inflazione (vedasi quanto successo con le materie prime, ma anche con le azioni e le case).
La settimana appena conclusasi ci consegna quindi un dollarino svalutato, e da qui il passo ai titoloni sull’inflazione è breve, e può velocemente essere compiuto. La politica della Cupola si rivelerà un boomerang in un contesto di bond e dollaro in caduta libera, che presto contageranno anche le borse. Un simile scenario mostra il grande errore della teoria economica convenzionale, secondo la quale c’è uno scambio possibile tra le difficoltà inerenti a un lungo periodo di stagnazione economica e l’accettazione di un più alto livello di inflazione. Si vedrà che invece si avrà stagflazione, cioè la nuova inflazione non riscirà a far uscire dalla stagnazione, e alla fine provocherà la Grande Depressione.
Ed anche l’idea del Professor Mankiw che la decisione di creare inflazione equivalga (e sia positiva) alla decisione di abbandonare il Gold standard nel 1933 merita tutta la mia disapprovazione. E’ un argomento vecchio: nel nome del keynesianesimo, gli inflazionisti hanno ripetutamente sostenuto la bontà di massicci stimoli monetari e fiscali in risposta allo scoppio della bolla di turno, MA in realtà questo era solo strumentale ad estendere e peggiorare la bolla creditizia sistemica, che ha però fatto guadagnare miliardi facili a una piccola elìte. Fu il caso del dopo scoppio bolla tecnologica, e lo è anche ora nel dopo scoppio bolla ipotecaria e immobliare. Oggi, più che mai, dovrebbe essere evidente come l’inflazionismo keynesiano sia “La Bolla”.
MATERIE PRIME: odorano l’inflazione
I preziosi scattano al rialzo, spinti dal crollo del dollaro e dagli annunci di strategia inflazionistica: l’oro sale del 2,7% (+8,5% da inizio anno),e l’argento +4,9%(+30%). Gli industriali salgono trainati dagli acquisti cinesi di rame e acciaio nell’ambito della riallocazione delle risorse disponibili dal fondo sovrano, spinto dalla paura che il dollaro e l’inflazione distruggano il valore reale delle riserve valutarie. Il rame sale del 4%(+49%) e il petrolio fa meglio di tutti con +8% (+38%); in controtendenza solo il gas naturale che crolla del 14% (-38%). Salgono del 5% mediamente gli agricoli e l’indice generale CRB avanza del 3,3% (+6,3%).
Il petrolio ha fatto meglio dell’oro, per cui il rapporto oro-petrolio è sceso a 15,5 e sta insidiando la media a 200 giorni. In teoria ciò significa che siamo sempre in fase di ottimismo, per cui anche se l’inflazionismo fa salire entrambi, l’oro nero sovra performa il giallo, e ciò è coerente con la positività delle borse. Quello che incuriosisce è l’assolo negativo del gas naturale. Non ci sono dati fondamentali nuovi che spieghino le vendite di questa settimana.Come già si sapeva, l’offerta resta al momento abbondante rispetto alla domanda industriale in calo; ma risulta confermata anche la chiusura di numerosi impianti per cui resta molto probabile che non appena dovesse riprendere la domanda, si andrà di colpo nella situazione opposta. Non c’è dubbio che l’attuale calo del prezzo del gas naturale colpisce in particolare la Russia, in una fase in cui sono in corso negoziati sul nucleare con la nuova amministrazione americana.
Si conclude con : petrolio a 61,6(luglio) gas naturale a 3,64(luglio) oro a 958(maggio) argento a 14,7(maggio) platino a 1160 (luglio) palladio a 233(giugno) rame a 210(maggio) soia a 1166(luglio) oro-petrolio a 15,5.
CAMBI: crolla il dollaro
L’indice del dollaro perde quasi il 4% nella settimana e scende a 80 passando in negativo da inizio anno(-1,6%). Nei confronti delle valute commodities perdite di oltre il 6% ma anche -5% con la sterlina; flette anche con lo yen seppur di poco(-0,5%). Il crollo è avvenuto nonostante le borse si siano mantenute sostanzialmente stabili nel saldo settimanale. La causa apparente è stata infatti il degrado della Gran Bretagna da parte di Standard & Poor’s che ha provocato di riflesso vendite di bond americani e quindi di dollari. Il ridicolo mito che il dollaro sia un “bene rifugio” inizia così a schricchiolare, anche se manca la controprova: occorrerà vedere come si comporta durante una fase di caduta intensa delle borse. La prossima settimana sarà importante vista la dimensione di ipervenduto tecnico raggiunta; dovrebbe fermarsi nel breve termine, e magari essere capace di un rimbalzo, ma ciò che conta è appunto vedere se tornerà a muoversi in correlazione con la propensione al rischio generale, oppure se è proprio diventato nella percezione dei mercati un oggetto “rischioso”.
Le prime quotazioni si avranno già domenica notte, con l’inizio della sessione asiatica, ma poichè lunedì gli USA sono in festa per il Memorial day non dovrebbe succedere granchè fino a martedì, anche se non si sa mai in questi casi. L’eurodollaro è riuscito a superare la più volte citata resistenza di 1,374 dopodichè si è involato fino a un massimo di 1,405 e nel frattempo l’euro contro yen è arrivato fino a 133. Tecnicamente i prossimi obiettivi contro dollaro sono 1,42 e poi 1,47 vero spartiacque di tutto lo scenario dei prezzi. Non c’è dubbio comunque che la salita dell’euro è avvenuta non per meriti propri ma per demeriti altrui (il Giappone ha messo a segno una contrazione del pil annualizzata nell’ordine del 16%); ed è quindi vero che non appena tornano sotto i riflettori le debolezze eurocentriche, la musica può di nuovo facilmente e velocemente cambiare, in particolare se il dollaro torna a correlarsi inversamente alle borse. La prossima settimana ci sono un certo numero di fattori che includono le mosse della Bce, le previsioni di crescita e i rating sovrani, perchè le agenzie possono degradare anche qualche altro stato europeo. Considerata la violenta reazione al caso inglese, è un tema che può impattare pesantemente (la sterlina è caduta subito dopo l’annuncio anche se poi si è ripresa essendo entrato nel mirino di tutti il dollaro). Per il momento l’eurozona è considerata la meno peggio tra le economie sviluppate, con gli USA a rischio di degrado, la Gran Bretagna già degradata e il Giappone in forte sofferenza; ma se altri stati membri, dopo Grecia, Spagna, Portogallo e Irlanda, venissero degradati (Italia?), può facilmente perdere questa considerazione (basata sul rapporto debito-pil medio dei paesi euro “solo” al 69%). Inoltre c’è sempre la questione della politica monetaria, perchè si continuano a susseguire dichiarazioni contrastanti dei vari esponenti BCE: chi dice che quanto fatto è sufficiente, e chi invece auspica ancora riduzioni dei tassi e aumento della stampa di moneta. Se ci si dovesse convincere che prevarrà quest’ultima politica, l’euro torna a rischio.
OBBLIGAZIONI: crolla il decennale
Negli USA i futures sul tasso a tre mesi scadenza dicembre 2009 quotano 0,95% (-0 cts. rispetto a 7 giorni fa), il libor a tre mesi è al 0,66%(-16 cts.) e ad un anno al 1,53%(-12 cts.); i bills a 3 mesi allo 0,19%(+11 cts.). I rendimenti dei bonds a 2 anni a 0,85%(+6 cts.); a 5 anni al 2,19%(+22 cts.); il decennale al 3,45% (+32 cts); a 30 anni al 4,38%(+30 cts.). Altro salto quindi del differenziale tra 2 e 10 anni a 260 (+26 cts.), mentre restano fermi i tassi sui mutui a tasso fisso trentennali (+0,2 cts. al 4,82%) quindicennali(+0 cts. al 4,5) ma salgono quelli a tasso variabile ad un anno (+12 cts. al 4,82%). In lieve aumento i differenziali sui bonds aziendali, ed i rendimenti degli obbligazionari dei paesi emergenti, con i bonds brasiliani al 6,04% sul decennale, e sale quello del decennale giapponese (1,43).
Si ferma in Europa la discesa dei tassi euribor: ad un mese al 0,91% (+8 cts.) a tre mesi al 1,28%(+2 cts.) ad un anno al 1,65%(+0 cts.). I rendimenti sui bund tedeschi in rialzo sul 2 anni a 1,31%(+5 cts.) e soprattutto sul decennale a 3,55% (+19 cts.) per cui sale il differenziale tra 2 e 10 anni a +224 cts. ; il differenziale con i bonds USA si ferma sul due anni a quota +46 , e scende sul decennale a +10 cts.) sempre a favore del bund.
BORSE: al bivio
I risultati elettorali indiani hanno provocato ad inizio settimana un ondata di ottimismo in scia al più grande guadagno giornaliero della sua storia registrato dall’indice locale (Sensex): +17%. La spinta è durata esattamente fino a metà settimana cioè a metà di mercoledì; da quel momento, complice un tono più cauto del previsto riscontrato nei verbali della Fed, si è fatta marcia indietro e si conclude sui livelli di sette giorni prima (India esclusa), anche se l’Europa ha mantenuto un pò di incremento. I pochi dati macro non sono stati brillanti e soprattutto l’edilizia americana è risultata ben peggio delle attese. Il contesto, come già riferito, è stato inoltre molto movimentato, per obbligazioni, valute e materie prime, ma è come se le borse fossero rimaste a guardare più confuse che persuase.
Finora lo sp500 è salito da 667 a 930, + 39%, mettendo a segno il rialzo più ampio sia come punti che in percentuale da quando è iniziato il ribasso nell’ottobre 2007. Si può pertanto dire che siamo in presenza di un ciclo correttivo primario (B). Molti altri mercati azionari hanno fatto ancora meglio dai loro minimi, soprattutto gli emergenti: India +85%, Brasile +79%, Hong Kong +66%, Cina +61%; altri sono stati in linea: Germania +41%, Canada+ 39%, Giappone +35%, UK +31% ed Australia +29%. La media generale delle borse mondiali è + 47% e conferma pertanto la definizione di B Primaria sopra citata. Guardando avanti, quando inizierà la C Primaria al ribasso, si articolerà in un altra serie di onde, simili a quelle del periodo ottobre 2007- marzo2009, e andrà a fare nuovi minimi, magari per marzo 2010. Il punto cruciale, al di là di queste proiezioni, è che l’attuale è solo un classico “bear market rally”, cioè un rimbalzo inserito in un trend ribassista, fisiologico, e che infatti era stato qui prefigurato da tempo.
Andando alla B in corso, si è finora articolata in una prima onda al rialzo da 667 a 833,seguita da un ritracciamento di 53 punti.Poi ce n’e stata un altra fino a 876 seguita da un calo di 49 punti.Infine una terza fino a 930, puntualmente seguita da una discesa di 51 punti. Era quindi legittimo attendersi una quinta onda al rialzo, come spiegato sette giorni fa, e questa settimana sembrava in grado di realizzarla data la partenza bruciante, che però si è infranta sulla resistenza di 925 dalla quale è seguita una caduta di altri 45 punti. La domanda adesso è: siamo in presenza di una tipica risonanza in range, cui dopo un pò seguirà la quinta attesa? oppure vi è stato un aborto di tale onda finale ? Finora, durante il rialzo da 667 il mercato ha avuto un “passo” da 3 settimane tra rialzi e ribassi; adesso abbiamo avuto due ribassi di seguito, il che mostra come il carattere di questa onda stia mutando. Potrebbe anche essere che l’intera B primaria sia prossima all’esaurimento (e si sia quindi conclusa a 930 ben sotto l’obiettivo minimo di mille inizialmente stimato) perchè ci sono delle divergenze tecniche sui grafici giornalieri e settimanali che puntano verso questa possibilità. Siamo quindi a un bivio importante, perchè resta in piedi anche l’eventualità della risonanza e di una quinta rialzista tutta da sviluppare. Resto dell’idea che un livello di riferimento è quota 876: una discesa, ed una chiusura, sotto a questo livello sarebbe il primo segnale che la B è finita, con la conferma definitiva che arriverebbe alla rottura di 848. Nelle ultime 3 settimane il range di oscillazione è stato tra 879 e 930 percorso più volte in un senso e nell’altro. Questa situazione, quando si è vicini ai minimi, la si interpreta come consolidamento; ma quando si è vicini ai massimi dopo un +39%, è più sensato interpretarla come fine corsa.
Anche dal punto di vista delle motivazioni siamo al bivio: da un lato infatti un altra serie di dati meno peggiori delle attese, interpretata positivamente, potrebbe sostenere l’attuale fiducia che il peggio sia passato e che sia imminente una ripresa; dall’altro, la situazione opposta potrebbe acuire i timori già diffusi che si sia corso troppo e troppo presto, provocando una netta inversione di tendenza. E con la fine di maggio, come avvenne l’anno scorso, il vecchio adagio “sell in may and go away” potrebbe tornare di attualità.
Si conclude con Dow a 8277 +0,1% ( -6% da inizio 2009) SP500 a 887 +0,5%(-2%) Nasdaq100 a 1363 +0,6%(+12,5%)Russell +0,4%(-4,5%) Trasporti -1,5%( -15%) utilities -0,5% (-12%) semiconduttori +3% ( +18%) Broker +4%( +23%) Banche -2,6%(-19,5%).Il rapporto tra put e call fermo a 0,8 e l’indice della volatilità VIX fermo a 32,6.
Il Nikkey giapponese a 9225 -0,4%(+4% da inizio 2009), il Dax a 4918 +3,8%(+2%) il cac francese a 3227, il footsie inglese a 4365 spmib a 20007 e mibtel a 15801 -1,7% (+2%). Tra gli emergenti: Brasile +3,2%(+34%) Russia +9% (+61%) India +14%(+44%) Cina +1,6%(+43%).
PREVISIONI: ultima di maggio
Lunedì festa negli USA. Martedì i prezzi immobiliari Case-Shiller e l’indice di fiducia dei consumatori negli USA; quest’ultimo è atteso proseguire il recente recupero dal minimo di 25 toccato a febbraio fino a 43. Mercoledì vendite di case esistenti, mentre le vendite di case nuove saranno rese note giovedì insieme ai sussidi ai disoccupati ed agli ordini di beni durevoli. Le previsioni sulle vendite immobiliari sono per un miglioramento di qualche punto percentuale, ma è un dato suscettibile a sorprese negative, come si è visto nella scorsa settimana a prosposito dei nuovi cantieri e delle nuove licenze. Anche dagli ordinativi ci si aspetta un miglioramento ad aprile, dovuto soprattutto ai trasporti, al netto dei quali si attende stagnazione.
Infine la settimana e il mese si concludono con un venerdì ben carico, dove spicca la prima revisione ai dati del PIL americano nel primo trimestre, l’indice di Chicago PMI e quello del Michigan. La revisione attesa del PIL dovrebbe essere in meglio al -5,5 dal -6,1 stimato un mese fa, il che sarebbe un miglioramento anche rispetto al risultato dell’ultimo trimestre del 2008(-6,3); ma è molto facile che ci siano sorprese in peggio (circolano calcoli anche fino al -9%) se si considera che il deficit estero a marzo è peggiorato, e soprattutto a causa delle esportazioni; poichè nel primo calcolo del PIL il dipartimento del commercio aveva usato un ipotesi di esportazioni ben superiore, se non vi sono compensi da altre voci, l’effetto sarà fortemente peggiorativo(ed anche i consumi dovrebbero essere rivisti in meno vista la delusione sulle vendite al dettaglio di marzo).
Sul fronte europeo spiccano gli indici di fiducia delle imprese e dei consumatori in Germania (IFO e GfK), l’occupazione tedesca e le vendite al dettaglio.Le previsioni sui tassi potranno essere influenzate infine dagli indici dei prezzi al consumo nei paesi europei.
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25 Maggio 2009, 09:15