18 Marzo 2018, 19:28
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E’ dal 313 dell’era cristiana che in Occidente vige un rapporto di vicendevole sostegno fra potere politico e potere ecclesiastico. In quell’anno, infatti, si ritiene che gli imperatori romani Costantino e Licinio abbiano sancito la fine delle persecuzioni contro i cristiani e avviato una politica di sinergia con la Chiesa cattolica fondata sul principio che il trono avrebbe protetto l’altare e, in cambio, l’altare avrebbe procurato al trono la legittimazione popolare. Apparentemente un patto di ferro, ma quanto davvero efficace? Esso ha certamente prodotto tensioni continue fra sovrani che hanno voluto comandare nelle questioni religiose (cesaropapismo) e papi che hanno voluto comandare nelle questioni temporali (teocrazia o, meglio, ierocrazia).
L’era costantiniana – come l’hanno definita gli storici – è finita? Ciascuna delle due istituzioni (Stato e Chiesa) ha smesso di voler interferire nella sfera di competenza dell’altra? Dipende dai luoghi del pianeta. Negli Stati Uniti d’America, ad esempio, o poco dopo in Francia, il principio liberale (proclamato da Cavour nella celebre formula “libera Chiesa in libero Stato”) si è affermato già nel XVIII secolo; in altri Stati, come l’Italia, la situazione è molto più ingarbugliata. Certamente sono stati compiuti passi avanti notevoli in direzione della laicità dello Stato con il Concilio ecumenico Vaticano II (1963 – 1965) e con il pontificato di Paolo VI; ma solo con Francesco I e con gli attuali vescovi della Conferenza episcopale italiana (dopo i famigerati anni del cardinal Ruini) sembrerebbe che, finalmente, la Chiesa cattolica stia accettando cordialmente che la società si gestisca secondo regole democratiche, limitandosi ad annunziare il proprio punto di vista senza ricorrere a strumentalizzazioni più o meno subdole.
Qualcuno, però, o non se ne è accorto o fa finta di non accorgersene. Così leader politici sempre pronti a criticare papa e vescovi su tante questioni di solidarietà internazionale (come l’accoglienza dei migranti) e di equità interna (come il sostegno finanziario alle famiglie con redditi insufficienti) – e, sul piano personale, dediti a stili di vita non proprio in linea con i dettami della morale cattolica – non esitano a rispolverare armamentari promozionali che, già negli ultimi anni della Prima Repubblica, perfino la Democrazia Cristiana aveva riposto nei cassetti. Matteo Salvini che sventola vangelo e corona del rosario in piazza Duomo è davvero un’immagine che offende l’intelligenza di ogni cittadino “laico”, credente o meno che sia. Eppure i risultati elettorali hanno premiato queste nuove forme di collateralismo: segno che in alcune regioni italiane scarseggia o la laicità critica o l’intelligenza vulnerabile.
Che ciò avvenga in fasce della popolazione poco istruita e in esponenti del “basso” clero dispiace, ma non sorprende. Sorprende, invece, oltre a dispiacere, che intellettuali di professione e soprattutto prelati appartenenti all’ “alto” clero abbiano o taciuto o manifestato timidi mormorii di dissenso (perpetuando equivoci e ambiguità che avevo denunziato nell’era Ratzinger pubblicando, addirittura con le edizioni San Paolo, “Il Dio dei leghisti”). Infatti, se la moda del clerico-fascismo torna in auge, la Lega e i suoi eventuali compagni di schieramento anti-europeista non dovranno faticare molto a polemizzare contro l’Europa: prima che su questioni di bilanci finanziari e di politiche monetarie (dove qualche ragione potrebbero pure averla) si troveranno fuori dalla logica europea per mentalità e per metodi di ricerca del consenso.
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18 Marzo 2018, 19:28